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Writer's pictureKoinè Journal

La Francia dice no a Le Pen. Ancora.


di Luca Simone.


Musi lunghi e silenzi al parco di Vincennes, nei pressi dello stupendo Parc Floral, location parigina scelta dalle alte sfere del RN come centro di comando dal quale attendere i risultati di questo secondo turno. Risultati che, stando alle ultimissime proiezioni pre-voto avrebbero dovuto fornire una solida maggioranza (o almeno una maggioranza relativa secondo i più pessimisti) al partito di estrema destra guidato da Marine Le Pen. Invece no, tutto il contrario. RN non solo non è arrivato primo, ma non è arrivato neppure secondo, scavalcato dal redivivo partito centrista Ensemble, guidato dall’arcinemico Macron.


Prima è arrivata la larghissima coalizione di sinistra del NFP, una formazione che fino a tre settimane fa neppure esisteva, e che ora, forte di un enorme mandato popolare (alle urne si è recato quasi il 70% degli aventi diritto, una percentuale tra le più alte della storia di Francia e d’Europa) chiede di poter guidare un governo di coalizione che possa creare un “cordone sanitario” attorno alla formazione estremista del duo Le Pen-Bardella. Lo champagne è rimasto nelle bottiglie, e mentre a Place de la Republique e nelle maggiori metropoli francesi il NFP festeggiava un risultato storico, i dirigenti del RN iniziavano a trarre le proprie conclusioni.


Una mobilitazione del genere per impedire l’ascesa di una formazione politica non si vedeva da decenni. Più di due terzi dei votanti ha scelto di accettare gli accordi di desistenza proposti dai leader del centro e dei moderati di sinistra. In pratica il RN ha perso quasi tutti i duelli del secondo turno dove si trovava a sfidare un candidato del NFP o di Ensemble. Su 151 ballottaggi, il RN ne ha persi più di 100, a dimostrazione di come l’elettorato antilepeniano abbia scelto di votare qualsiasi cosa pur di non lasciare il paese in mano ad una formazione che, nonostante l’opera di pulizia operata dalla dinastia Le Pen, puzza ancora di gollismo estremo e di simpatie vichiste. Troppo per un elettorato come quello francese abituato a mettere al di sopra di tutto i valori della democrazia.


Molto piccate le reazioni dei protagonisti che si sono visti soffiare da sotto il naso una vittoria che pareva certa, tanto che alcuni già parlavano da ministri in pectore. Quello che avrebbe dovuto essere il successore di Attal a palazzo Matignon, Jordan Bardella, fedelissimo di Marine Le Pen, ha dichiarato secco: “ha vinto l’alleanza del disonore”. Parole che trasudano un certo livore per l’ennesima sconfitta di un partito che indubbiamente è cresciuto (non dimentichiamoci che quasi 1/3 della Francia ha votato RN), ma che sul più bello stenta a decollare perché non riesce a convincere fino in fondo i francesi della sua buona fede. Difficile se all’interno delle proprie fila si ospitano personaggi che puntano a fare della pulizia razziale nell’amministrazione il proprio cavallo di battaglia, per di più in un paese multietnico come la Francia.


Non sono bastate le trombe dei grandi gruppi finanziari ed economici, tutti schierati con Le Pen per paura del “mostro” Melenchon, non è bastato un sistema di informazione sempre più simile a quello nostrano (che oggi sui canali del servizio pubblico non si è degnato neppure di parlare del risultato francese) che ha fatto del NFP un bersaglio per critiche di qualsiasi tipo (talvolta giuste, ma talvolta gratuite). Niente di tutto ciò è bastato ad impedire che una mobilitazione senza precedenti dicesse NO alla prospettiva di un governo così antitetico rispetto ai valori fondativi della Francia stessa. Una mobilitazione che a dispetto di infinite difficoltà ha portato elettori di centro a votare per la sinistra e viceversa, perché in ballo c’era qualcosa di molto più grande dell’indirizzo politico del paese. C’era in ballo il suo indirizzo morale.


L’ingovernabilità è il primo dei possibili spauracchi agitati dalla stampa conservatrice, e sicuramente questo è il principale problema che la composita coalizione di centro sinistra dovrà affrontare, ma sarebbe stato esattamente lo stesso anche nel caso di una vittoria di RN. I voti necessari per poter governare, Le Pen e soci avrebbero dovuto chiederli a qualcuno di più moderato di loro, aprendo le porte alla stessa ingovernabilità della quale si accusa ora il NFP. Non è dunque chiara la critica che viene mossa, forse per qualcuno era più facile creare un listone unico per assicurare la governabilità totale? Pare che ci abbia già provato qualcuno un secolo fa, e non è andata benissimo. 


All’interno del fronte anti Le Pen indubbiamente c’è dentro la qualunque. Dai tupamaros di Melenchon, passando per i socialisti e i centristi di sinistra, arrivando fino al partito di Macron. Forze diversissime e con programmi altrettanto poco sovrapponibili. Ma il mandato popolare è chiaro, e a dispetto delle dichiarazioni poco collaborative di Melenchon e del gioco delle parti gestito dall’Eliseo, si può sicuramente dubitare che qualcuno abbia seriamente il coraggio di assumersi la responsabilità di far naufragare un risultato così storico. Il leader di France Insoumise sbraita, ma sa di non poter chiedere più di tanto al tavolo delle trattative, e difficilmente accetterà di sporcarsi le mani col sangue di questa alleanza, e lo stesso farà Macron, che almeno a parole rifiuta di prendere in considerazione un governo di coabitazione con l’estrema sinistra.


La politica esiste per questo, per cercare di trovare la soluzione a problemi intricati, esattamente come questo. A dispetto di ciò che si legge su certi giornalacci anche nostrani, la sconfitta di Le Pen ha colto tutti di sorpresa, e certamente un risultato così netto era un qualcosa di non solo inaspettato, ma in qualche modo anche temuto. Ma in tempi non sospetti l’avevamo detto alla sinistra di non temere il voto, e non serviva Nostradamus.  Al di là di tutto, infatti, ciò che domenica è successo in Francia si può riassumere così: sicuramente 1/3 degli elettori ha scelto di votare Le Pen, ma i restanti 2/3 avrebbero accettato di votare anche una sedia pur di scongiurare l’ascesa degli eredi di Vichy. Un dato che non può certo fare piacere all’establishment dell’internazionale nera, un tavolo di cui fanno parte anche i principali esponenti del nostro attuale governo.


Chissà se vedremo mai in Italia un qualcosa di simile. Un’alleanza, un campo largo che riesca a mettere da parte le proprie differenze per riuscire a battere la destra. Magari sì, ma non illudiamoci che questo accadrà a breve. Noi non abbiamo abbastanza anticorpi democratici per ottenere un risultato come quello francese. Quindi non facciamoci troppe illusioni, perché ha vinto la sinistra francese, non certo il camposanto italiano. Ehm, pardon, il campo largo.




Image Copyright: Micromega

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