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  • Writer's pictureKoinè Journal

La Par Condicio secondo Italia Viva


di Luca Simone.


Fuori i giornalisti schierati dal servizio pubblico”. Così ha tuonato mercoledì Maria Elena Boschi, ex ministra renziana oggi Vicepresidente della Commissione di Vigilanza RAI, una boutade (ci auguriamo farsesca) che ha immediatamente scatenato polemiche violentissime nella settimana in cui si è visto il “democratico” Israele approvare una legge contro una emittente televisiva, Al Jazeera, accusata di essere collusa e guidata da Hamas. I politici italiani non sono affatto nuovi a crociate contro i giornalisti, e questo appare solo l’ultimo di una lunga e triste lista di attacchi alla libertà di opinione e di critica, basti pensare al celeberrimo Editto Bulgaro di berlusconiana memoria che allontanò dalla RAI tre suoi pericolosi oppositori, Biagi Santoro e Luttazzi.


Anche la Boschi ora può vantare nel curriculum il suo personalissimo editto indirizzato al nemico di sempre, Marco Travaglio. L’ex ministra ha infatti utilizzato le vicende giudiziarie del giornalista (rese famose dalla lettera letta da Berlusconi alla presenza di Santoro e del diretto interessato), peraltro non vincolanti, per screditare un intero settore professionale. Secondo la Boschi, infatti, sarebbero le condanne per diffamazione detenute da Travaglio la migliore garanzia della sua non imparzialità, tanto da fargli guadagnare la cacciata dalle reti RAI, su cui, peraltro, non mette piede da tempo. Le domande che questa “proposta” ha suscitato sono tante, ma la prima di tutte è questa: Chi deciderà l’imparzialità di un giornalista? Come si potrà infatti avere la certezza che l’organo o la personalità preposta alla decisione sia essa stessa imparziale? Nel caso della stessa Boschi, infatti, questo ad esempio non può avvenire essendo lei stessa stata più volte attaccata dal Fatto Quotidiano per le sue intricate vicende giudiziarie e politiche (basti ricordare l’affaire Banca Etruria). Arriviamo quindi al punto focale di tutta la questione: non si può forse considerare questa stessa proposta, così arzigogolata e antidemocratica, un sintomo stesso di mancata imparzialità? Detto in parole povere, più va avanti in questa battaglia, più quella inadatta a ricoprire il ruolo che ricopre perché incapace di non essere parziale, pare proprio la Boschi.


Si perde poi di vista un altro importante fattore, cioè che le querele per un giornalista sono parte integrante del lavoro. Il sistema giudiziario italiano, infatti, rende la querela uno strumento di facile accessibilità per tutti coloro che si sentono lesi dall’operato di un giornale e di un giornalista. Essa è uno strumento a cui può accedere chi si sente “danneggiato”, ma tra il sentirsi tale e il dimostrarlo in sede probatoria, ce ne passa. Essere accusati di aver commesso un delitto è sicuramente un danno, bisogna però poi dimostrare di non averlo commesso. Avere molte querele, dunque, non conta nulla, potendo trattarsi di una manovra messa in atto da chi è stato colpito da un articolo o da una campagna di stampa per cercare di intimidire e minacciare un giornalista che svolge con coscienza e serietà il proprio operato. E, giusto per essere chiari, il lavoro del giornalista è quello di dare notizie. Lungi dal voler difendere a tutti i costi Travaglio (tirato in ballo senza motivo dalla stessa Boschi), la sua vicenda esemplifica molto bene questo meccanismo, dato che su più di 300 cause a suo carico, ha ricevuto una sola condanna a 1000 euro di risarcimento in favore di Cesare Previti. Basta davvero così poco per farsi epurare dal servizio pubblico? Se la risposta è sì, siamo genuinamente preoccupati. 

 

La situazione, dunque, rimane sempre la stessa da decenni, e porta a doverci chiedere: quanto i nostri politici sono disposti a sopportare la critica giornalistica? La risposta è, manco a dirlo, poco. Partendo dalla figura apicale della nostra classe politica, ovvero Giorgia Meloni, bisogna constatare che la Premier non ha praticamente mai accettato di sottoporsi alle domande di giornalisti che non considerava “amici” (basti pensare che si è recata solo da quelli che poteva chiamare per nome: Nicola, Paolo, Bruno), ad eccezione della conferenza stampa di inizio anno a cui è obbligata, per fortuna, a partecipare. Il pesce, come si suol dire, puzza dalla testa. Non è però né giusto, né tantomeno veritiero, attribuire a Giorgia Meloni le colpe di un comportamento antidemocratico e ostile alla critica che è radicato nella politica dell’Italia Repubblicana fin dai suoi albori. Sarebbe lunga la lista dei giornalisti (e dei giornali) a libro paga dei partiti politici di tutto l’arco parlamentare negli anni della Prima Repubblica, passando poi al curioso caso del Cavaliere Silvio Berlusconi e del suo enorme e mai risolto conflitto di interessi che gli permise nei suoi anni di governo di controllare tutte e sei le maggiori reti pubbliche. Il nostro sistema di informazione, quindi, già di suo non brilla per imparzialità, come dimostra il recente caso della possibile cessione dell’Agenzia AGI ad Angelucci (deputato della Lega), volerlo uccidere definitivamente per poterlo dichiarare cerebralmente morto, pare financo superfluo.


Cosa altro può volere la politica, che gli portiamo l’acqua con le orecchie? Ci pensassero e ce lo dicessero, risparmiandoci inutili supercazzole sulla par condicio.






Image Copyright: La Stampa

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