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  • Writer's pictureKoinè Journal

La sicurezza alimentare nell'Unione Europea


di Marta Tomassini.


Gli obiettivi della politica europea di sicurezza alimentare consistono nel proteggere la salute umana e gli interessi dei consumatori e favorire il corretto funzionamento del mercato unico europeo.

Per questo l’Unione europea provvede a disciplinare il settore alimentare tramite norme di controllo nei settori dell'igiene dei prodotti alimentari e dei mangimi, della salute animale e vegetale e della prevenzione della contaminazione degli alimenti da sostanze esterne.

Anche la politica di sicurezza alimentare, così come la politica eurocomunitaria in materia di ambiente, risponde al principio della precauzione, nonché al principio dell’azione preventiva e della correzione alla fonte dei danni causati dall’inquinamento.


Il principio di precauzione è uno strumento di gestione dei rischi cui è possibile ricorrere in caso di incertezza scientifica in merito a un rischio presunto per la salute umana o per l'ambiente derivante da una determinata azione o politica. Per esempio, qualora sussistano dubbi in merito all'effetto potenzialmente pericoloso di un prodotto e qualora, in seguito a una valutazione scientifica obiettiva, permanga l'incertezza, può essere impartita l'istruzione di bloccare la distribuzione di tale prodotto o di ritirarlo dal mercato. Tali misure devono essere non discriminatorie e proporzionate e dovrebbero essere riviste non appena si rendano disponibili maggiori informazioni scientifiche.

Il corpus legislativo si è ampliato di anno in anno, andando a disciplinare vari aspetti: igiene dei prodotti alimentari, contaminazione alimentare, etichettatura dei prodotti alimentari, sostanze aggiunte ai prodotti alimentari, salute degli animali e delle piante, mangimi, nuovi alimenti, OGM.

Uno dei fondamenti della legislazione europea in materia è il Regolamento (CE) n. 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, fissa le procedure nel campo della sicurezza alimentare e istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).


L’Autorità europea per la sicurezza alimentare

L’EFSA è l’ente comunitario di valutazione del rischio in sicurezza alimentare e dei mangimi, sanità e benessere animale, istituito nel 2002.

Funge da fonte imparziale di consulenze scientifiche per i gestori del rischio e svolge attività di comunicazione sui rischi associati alla filiera alimentare. Inoltre, fornisce le basi scientifiche per disposizioni legislative e regolamentari al fine di tutelare i consumatori europei dai rischi correlati agli alimenti, dal produttore al consumatore.

Come riportato dal sito dell’EFSA, il quadro normativo europeo in materia di sicurezza alimentare mette a disposizione dei consumatori dell’UE uno dei sistemi alimentari più sicuri al mondo.


Tuttavia, i cambiamenti demografici, la malnutrizione, l’aumento delle malattie non trasmissibili, i cambiamenti climatici e il depauperamento delle risorse naturali richiederanno in futuro nuovi approcci alla sicurezza alimentare. A livello globale, le Nazioni Unite hanno adottato un’agenda trasformativa per il 2030, basata su 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) che sono stati concepiti al fine di stimolare l’azione in aree di importanza essenziale per l’umanità e il pianeta. Mentre, a livello eurocomunitario, la Commissione europea ha adottato la strategia «Dal produttore al consumatore» per un sistema alimentare equo, sano ed ecocompatibile. Tale strategia è una delle componenti fondamentali del Green Deal europeo, insieme alla strategia sulla biodiversità per il 2030 e alla strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili.

Lo scopo principale è rendere più sostenibile il sistema alimentare europeo, garantendo la tutela della salute degli esseri umani, degli animali, delle piante e dell’ambiente.


Food security e food safety

A livello concettuale, le due espressioni sono distinte. Per «food security» si intende una sicurezza alimentare dal punto di vista quantitativo, che guarda, cioè, alle risorse alimentari da un punto di vista economico-sociale. Invece, il concetto «food safety» indica la sicurezza alimentare dal punto di vista qualitativo.

Nell’analisi del primo concetto – quello di food security – si devono considerare il tema della domanda alimentare in relazione all’aumento della popolazione ed eventi, quali guerre e pandemie, che richiedono la realizzazione di piani strategici per garantire l’approvvigionamento e la sicurezza alimentare.

Con il previsto aumento della popolazione mondiale da 7 miliardi del 2010 a 9,8 miliardi entro il 2050, la domanda alimentare complessiva è destinata a crescere di oltre il 50 % e quella degli alimenti di origine animale di quasi il 70 %.

Tuttavia, ancora oggi centinaia di milioni di persone soffrono la fame, mentre l’agricoltura utilizza già adesso quasi la metà dei terreni arabili del pianeta. Inoltre, l’agricoltura e i relativi cambiamenti della destinazione dei suoli generano il 25 % delle emissioni annue di gas a effetto serra.


Come evidenziato dall’EFSA, per conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile è necessario trasformare profondamente i nostri modelli di produzione e consumo, producendo di più con meno e riducendo le perdite e gli sprechi alimentari. Probabilmente questa trasformazione richiederà il ricorso a fonti alternative di alimenti e mangimi (ad esempio insetti e carne “sintetica”) e a nuove tecniche di produzione (come l’agricoltura di precisione), che, però, devono essere valutate per accertare i rischi che potrebbero comportare per gli esseri umani, gli animali e l’ambiente. Infatti, la strategia «Dal produttore al consumatore» ribadisce che per ottenere un consumo sostenibile e ridurre la malnutrizione sarà necessario modificare i nostri regimi alimentari.

Costituiscono fattori di rischio della food security anche guerre e pandemie. Per prevenire e affrontare le crisi alimentari in UE, la Commissione europea ha elaborato l’EFSCM, il meccanismo europeo di preparazione e risposta alle crisi in materia di sicurezza alimentare, che viene attivato in caso di eventi o rischi eccezionali, imprevedibili e su vasta scala, che possono minacciare l'approvvigionamento o la sicurezza alimentare dell'UE.


Per assicurare, invece, la food safety l’Unione europea ha elaborato la strategia «Dal produttore al consumatore», la cui finalità è di far giungere sulla tavola del consumatore un alimento il più salutare possibile. La strategia si prefigge diversi obiettivi concernenti la riduzione dell'uso e del rischio dei pesticidi e di perdita dei nutrienti, la riduzione delle sostanze antimicrobiche, il miglioramento del benessere degli animali e la valorizzazione dell'agricoltura biologica. Si tratta, però, di obiettivi non giuridicamente vincolanti, che potrebbero essere via via incorporati nella futura legislazione settoriale dei singoli stati membri.

La sicurezza alimentare riguarda vasti settori e, da qualche tempo, temi ad essa correlati sono oggetto non solo di discussione a livello comunitario ma anche di discussione da parte dell’opinione pubblica, come l’introduzione della nuova legislatura sulle etichettature oppure la produzione e consumazione di carne “sintetica” e farina di grillo.


I sistemi di etichettature

Un tema necessariamente correlato alla garanzia di sicurezza degli alimenti è quello dei sistemi di etichettature. In Italia, sono entrate in vigore, a partire dal 13 dicembre 2014, le disposizioni generali del Regolamento (UE) 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. L’obiettivo del regolamento è quello di assicurare un’informazione chiara e corretta, in modo da non indurre il consumatore in errore sulle caratteristiche, le proprietà o gli effetti dei prodotti che acquistano.


Le informazioni trascritte sull’etichetta si distinguono in obbligatorie e facoltative; tra le obbligatorie rientrano la denominazione dell’alimento, l’elenco degli ingredienti, il termine minimo di conservazione o la data di scadenza, il paese di origine o il luogo di provenienza.

Altro aspetto importante dell’etichettatura degli alimenti sono le indicazioni nutrizionali e sulla salute (c.d. claims), disciplinate dal Regolamento (CE) 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari.

Tuttavia, uno studio del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed, in collaborazione con l’Università dell’Insubria di Varese e Como, l’Università di Catania e Mediterranea Cardiocentro di Napoli, rileva come l’etichetta nutrizionale sia insufficiente se non si riduce il consumo di alimenti ultra-processati.


Gli alimenti non sono caratterizzati solo dalla loro composizione e qualità nutrizionale, ma anche dal grado di lavorazione a cui sono sottoposti; quest’ultimo elemento risulta cruciale per conoscere il reale effetto del cibo sulla salute e, secondo gli studiosi, la sua indicazione sulle etichette aiuterebbe i consumatori a scegliere con maggiore consapevolezza. I ricercatori hanno monitorato per 12 anni lo stato di salute di oltre 22mila persone partecipanti al Progetto epidemiologico Moli-sani e lo hanno correlato con le loro abitudini alimentari, prendendo in considerazione sia gli aspetti nutrizionali sia quelli legati al grado di trasformazione dei cibi.


Una soluzione suggerita per fare scelte alimentari più salutari è quella di utilizzare un sistema di etichettatura per i prodotti commerciali. In Francia, è stato elaborato ed adottato il sistema Nutri-Score, che valuta la qualità nutrizionale di un alimento (ad esempio in base al contenuto di grassi, sale, fibre, etc.), con una scala di cinque colori, che vanno dal verde (cibo più salutare) al rosso e a cui corrispondono le prime cinque lettere dell’alfabeto, A-B-C-D-E.

In opposizione al sistema di etichettatura francese, i Ministeri italiani dello Sviluppo Economico, Politiche Agricole, Salute e Esteri hanno promosso nel nostro Paese, ed anche in Commissione europea, un altro sistema – il Nutrinform Battery - che comunica al consumatore la quantità di nutrienti realmente contenuta nella porzione di alimento che sta assumendo e quanto questa porzione incida sulla sua giornata alimentare. Si tratta di una rappresentazione grafica che adotta il simbolo della batteria e che contiene l’indicazione quantitativa del contenuto di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale per singola porzione.


La ricerca dimostra che la qualità nutrizionale, però, non è l’unico fattore da tenere in considerazione. I ricercatori, infatti, consigliano anche l’adozione di un altro sistema – NOVA - che valuta quanto un determinato prodotto sia stato lavorato a livello industriale. Tale sistema identifica, nello specifico, gli alimenti c.d. ultra-processati, ossia quei cibi fatti in parte o interamente con sostanze che non vengono utilizzate abitualmente in cucina (proteine idrolizzate, maltodestrine, grassi idrogenati etc.) e che contengono generalmente diversi additivi, come coloranti, conservanti, antiossidanti, anti-agglomeranti, esaltatori di sapidità ed edulcoranti.


Novel food: carne coltivata e farina di grillo

Altro tema, particolarmente discusso, riguarda i nuovi prodotti alimentari.

Ai sensi della normativa UE qualsiasi cibo che non sia stato consumato “in modo rilevante” prima del maggio 1997 è da considerarsi nuovo alimento.

A partire dal 2018, l’EFSA, su incarico della Commissione europea, si occupa della procedura di valutazione scientifica dei rischi concernente l’autorizzazione di un nuovo alimento.

L'EFSA effettua la valutazione della sicurezza sulla base dei fascicoli documentali presentati dai richiedenti. I fascicoli devono includere dati sulla composizione e sulle caratteristiche nutrizionali, tossicologiche e allergeniche del nuovo alimento, nonché informazioni sui processi produttivi, sugli usi e livelli di utilizzo proposti. Non spetta, però, all’Autorità europea per la sicurezza alimentare decidere se un alimento vada considerato “nuovo” o “tradizionale” bensì ai gestori Ue del rischio, che decidono se un nuovo alimento o un alimento tradizionale proveniente da un Paese terzo possa essere immesso sul mercato dell'Unione europea, e quali debbano esserne le condizioni d'uso.


Il novel food di più recente introduzione in Ue nonché uno dei più discussi è la farina di grillo. Il 3 gennaio 2023 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento di esecuzione (UE) 2023/5 della Commissione, che autorizza l'immissione sul mercato della polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus.

Il timore che la farina di grillo venga camuffata nei prodotti di uso abituale si aggira per l’Europa, specialmente in Italia, dove ultimamente il governo ha adottato decreti a tutela dei consumatori e del Made in Italy. L’esecutivo ha, quindi, previsto la trasparenza dell’etichettatura, l’istituzione di scaffali ad hoc nei punti vendita affinché non siano confusi con gli altri prodotti ed è fatto divieto di utilizzare tali farine per la preparazione di prodotti tipici della cucina italiana.


Il Professore Agostino Macrì, direttore del Dipartimento di Sanità Alimentare dell’Istituto Superiore di Sanità e consulente per la sicurezza alimentare dell’Unione Nazionale Consumatori, spiega che la farina prodotta a partire dai grilli è fatta seguendo sempre le medesime procedure e dal punto di vista sanitario è ineccepibile: non ci sono organismi patogeni, micotossine, metalli pesanti, idrocarburi. L’unico problema potrebbe essere rappresentato dalla chitina, proteina contenuta nel carapace dei grilli che, nelle persone allergiche, può dare manifestazioni che vanno dal semplice eritema cutaneo allo shock anafilattico, come vale per molti altri prodotti (arachidi o crostacei, ad esempio).

Dal punto di vista nutrizionale, la farina di grillo è un’ottima fonte proteica, possedendo una media di oltre il 65% di proteine ad alto valore biologico; risulta anche ricca di fibre, calcio, vitamina B12, ferro, fosforo e sodio.


Infine, per quanto riguarda la paura che la farina di grillo minacci il Made in Italy, Macrì dice di escludere questa ipotesi, innanzitutto, perché al momento l’unica azienda che può vendere il prodotto è la Cricket One, autorizzata dopo attente valutazioni da parte dell’EFSA; dunque, se in Italia si volesse avviare una produzione autonoma questa non sarebbe di facile attuazione poiché è previsto un iter molto lungo di sperimentazione ed autorizzazioni. Inoltre, il professore sottolinea la labilità del concetto di Made in Italy, rimarcando la differenza tra prodotti DOP – realizzati interamente con materie prime italiane – e IGP - prodotti in Italia, ma con materie prime di importazione - ed evidenzia come i primi siano numericamente inferiori rispetto ai secondi.

La polemica però non si esaurisce con la farina di grillo. Altro timore riguarda un possibile ingresso nel mercato europeo della carne coltivata, erroneamente denominata “sintetica”.

La carne coltivata è un tipo di carne prodotta in laboratorio a partire da cellule animali, che vengono prelevate tramite una biopsia e fatte crescere su un terreno - una soluzione - ricco di nutrienti.


Dopo la crescita, le cellule staminali, che prima non presentavano alcuna specializzazione, si differenziano in una cellula di interesse, nel caso specifico in una cellula muscolare.

Queste cellule staminali si differenziano anche rimanendo all’interno dell’organismo di partenza; quindi, non viene in nessun modo modificata ma procede in quella che è la fisiologia della cellula.

Dalle singole cellule, messe insieme, si costituisce poi un tessuto che darà quindi origine a quello che sarà il prodotto finito.

Lo strumento che si è dimostrato utile ai fini del raggiungimento di questo scopo è il bioreattore, già impiegato nella produzione di altri alimenti come birra e yogurt, il cui scopo è di mantenere una temperatura controllata e utile a mantenere in vita le cellule e di rifornirle di nutrienti.


Dal punto di vista nutrizionale non sono presenti degli aspetti negativi da considerare. Dal punto di vista della sicurezza alimentare, crescendo in un ambiente controllato si riduce il rischio di malattie di origine animali e non c’è la necessità di impiegare antibiotici.

Inoltre, la carne coltivata può rappresentare una valida alternativa al modello classico di produzione di carne, trattandosi di uno dei settori maggiormente impattante dal punto di vista ambientale.


Seppur la Commissione europea non abbia ancora inserito questo prodotto tra i novel food, il 28 marzo 2023 il governo ha approvato un disegno di legge che fa divieto per gli operatori del settore alimentare di impiegare nella preparazione di alimenti, bevande e mangimi, o anche vendere, detenere per commercio, importare, produrre per esportare, somministrare oppure distribuire per il consumo, alimenti o mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati. Tuttavia, i divieti contenuti nel ddl non si applicheranno ai prodotti legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell'Unione europea. Quindi, qualora la Commissione europea dovesse approvarne l’uso negli Stati membri, l’Italia non potrebbe opporsi alla loro distribuzione.



Lo scetticismo nei confronti dei novel food è legittimo, ma non possiamo permetterci aprioristicamente una chiusura mentale rispetto alle nuove abitudini alimentari, se la loro sicurezza è testata e garantita dagli scienziati.

Il modello attuale di produzione alimentare, in particolare di carne, risulta non essere più sostenibile per un pianeta e una popolazione che stanno attraversando questa crisi climatica.


Diventa, quindi, importante individuare tutte le possibili soluzioni che possono apportare vantaggi all'ambiente, al benessere degli animali e alla salute umana.

Le nostre scelte alimentari hanno un forte impatto sull’ambiente, caratterizzato da diverse variabili come le emissioni di gas, l’uso del suolo, le quantità di acqua, l’utilizzo di determinati fertilizzanti etc. Inoltre, l’impatto del singolo alimento può variare anche a seconda del suo ciclo di produzione e, com’è noto, il consumo di carne ha uno degli impatti maggiori, considerando che la gestione e il mantenimento degli allevamenti attuali non costituiscono solo un problema etico, ma anche ambientale.

Se è previsto un aumento demografico ma al contempo sono previste crisi idriche e più in generale climatiche, come si può pensare di sfamare l’intera popolazione mondiale? È questo l’interrogativo che i governanti devono porsi e a cui devono trovare risposte.

È, dunque, essenziale che gli scienziati, nel rispetto della bioetica e garantendo la sicurezza alimentare, studino nuove modalità di produzione del cibo, che forse oggi non riteniamo siano necessarie, ma che, invece, tra qualche decennio si riveleranno fondamentali per la sopravvivenza dell’uomo.









Image Copyright: European Union 2018

Image 1: European Commission

Image 2: Ministero della salute

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