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Writer's pictureKoinè Journal

La tempesta perfetta: la crisi dell'Occidente e l'azzardo di Putin

Updated: May 17, 2022


di Lorenzo Ruffi.


L’invasione russa dell’Ucraina rappresenta un punto di svolta nella logica delle relazioni internazionali del mondo contemporaneo e nei rapporti di forza fra i principali attori globali.

Questo articolo non intende ripercorrere gli eventi e studiare le cause strutturali che hanno portato allo scoppio della guerra in Ucraina, bensì analizzare, a livello politico e strategico, perché Putin abbia scelto proprio questo momento per iniziare la sua campagna militare, nonostante la crisi che affligge Kiev risalga agli inizi del 2014.

La propaganda attuale tende a descrivere Putin come un pazzo furioso alla conquista del mondo, tuttavia la realtà è più sfumata. Per capire il disegno geopolitico dell’autocrate russo è necessario comprendere innanzitutto la sua politica estera; ma ciò non sarebbe sufficiente se non allargassimo il nostro sguardo verso il nostro continente. L’instabilità e la debolezza europea (o presunte tali) hanno convinto Putin a riportare la guerra nel Vecchio Continente dopo decenni.

Ma come si risolverà questa invasione? Sarà un successo di politica estera senza precedenti, oppure finirà per ritorcersi contro lo stesso regime russo?


Post-Soviet Empire: capire la politica estera russa nel XXI secolo

Putin stesso definì la caduta dell’Unione Sovietica come la più grande catastrofe geopolitica del secolo scorso”. Alla luce di questa dichiarazione, possiamo capire che il leader russo provi una forte nostalgia non tanto per il socialismo reale in sé, quanto per il ruolo di superpotenza che la Russia aveva svolto per buona parte del Novecento.

Declassata al rango di potenza di serie b durante l’era di El’cin e accerchiata sempre di più dalla contemporanea espansione ad ovest della NATO e dall’insediamento di governi democratici filo-occidentali nei paesi che per decenni erano stati nell’orbita sovietica, la Russia appariva, all’inizio degli anni duemila, estremamente debole in politica estera.

La nostalgia per la potenza che fu nel secolo scorso e una sorta di strisciante revanscismo nei confronti dell’Europa e degli USA, che fino a quel momento avevano considerato Mosca un vero e proprio junior partner nel concerto delle potenze globali, hanno fatto cambiare drasticamente il corso della politica estera russa.

La nuova era targata Vladimir Putin ha fin da subito visto Mosca tornare protagonista. Una delle prime mosse del nuovo leader è stata quella di stroncare la resistenza dei separatisti ceceni nel Caucaso. Con la successiva operazione in Georgia nel 2008, il Cremlino ha messo in chiaro che non era disposto a concedere che governi democratici e filo-occidentali si insediassero in quell’area che fu un tempo di influenza sovietica.

Putin non vuole ricostruire l’Unione Sovietica tout-court, ma assicurarsi che i territori, un tempo facenti parti dell’Urss, siano retti da governanti amici, o perlomeno non ostili.

Il nuovo corso della politica estera russa prevede quindi, una sorta di ritorno a quelle sfere di influenza che avevano caratterizzato il periodo della Guerra fredda.

Situazioni che ben spiegano questo andamento sono i casi dell’Ucraina nel 2014 o, più di recente, quelli in Kazakistan.

L’espansionismo dell’Occidente, allo stesso tempo militare, sotto forma della NATO, e politico-ideologico, attraverso la creazione di democrazie liberali europeiste in questi territori ex-sovietici rappresenta una chiara minaccia per la stabilità della Russia; una volta minacciato, il Cremlino si è sentito in dovere di rispondere in maniera forte e decisa, annettendo la Crimea per quanto riguarda l’Ucraina, o reprimendo nel sangue le proteste antigovernative ad Almaty.

Il rinnovato espansionismo russo non si è limitato solo a quei territori storicamente legati a Mosca.

A partire dal 2011, la Russia è tornata ad esercitare un ruolo di superpotenza a livello globale, allontanando il suo raggio d’azione dall’Europa orientale.

Gli interventi militari in Siria e le azioni del Gruppo Wagner, un’organizzazione paramilitare russa a carattere privato, finanziata dal magnate Evgenij Prigozin, per espandere l’influenza di Mosca nel Sahel, sono chiari segni del fatto che la Russia è tornata ad avere voce in capitolo in quasi tutte le aree politicamente più calde del pianeta. Inoltre, il legame sempre più stretto che si è venuto a creare negli ultimi anni fra Mosca e la Cina può potenzialmente portare alla nascita di una nuova alleanza, in chiave anti-occidentale, in grado di esercitare un ruolo di assoluto spessore nella politica degli anni a venire.

Stabilire con chiarezza cosa Putin vorrà fare dell’Ucraina una volta terminato il conflitto è ancora abbastanza difficile.

L’annessione totale del paese alla Federazione Russa appare quasi improbabile; più realistica è la possibilità di cercare di insediare un governo fantoccio a Kiev, sulla falsariga dell’esecutivo Janukovych che ha retto l’Ucraina dal 2010 al 2014, oppure provare a cercare un accordo con il governo ucraino per riconoscere il possesso russo della Crimea e l’indipendenza delle due repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk nel Donbass.

Molto dipenderà dall’andamento della stessa campagna militare.


L’Occidente ad un bivio: fra pandemia e problemi di politica interna

Spostiamo momentaneamente il focus della nostra analisi sul Vecchio Continente e sugli Stati Uniti d’America.

L’Europa è uscita economicamente provata da quasi due anni di pandemia. L’emergenza Covid-19 ha drenato molte risorse all’interno dei singoli paesi, causando una recessione economica da cui si sta faticosamente uscendo solo negli ultimi mesi.

I principali paesi dell’UE (e della NATO) hanno affrontato, o sono sul punto di affrontare, importanti cambiamenti a livello politico-istituzionale.

In Italia la corsa al Quirinale si è risolta con la conferma di un secondo mandato per Sergio Mattarella, anche se la possibilità che l’attuale premier Mario Draghi divenisse Presidente della Repubblica, causando un’ennesima crisi governativa a Roma, è rimasta concreta fino all’ultimo.

A Berlino, il regno di Angela Merkel, durato quasi sedici anni, è giunto al termine; al suo posto è stato nominato Cancelliere Olaf Scholz. Vice Cancelliere dal 2018 e membro di spicco del SPD, Scholz deve raccogliere un’ingombrante eredità politica, anche per quanto riguarda il tema dei rapporti fra Germania e Russia. Berlino è assolutamente dipendente dal gas russo, e i buoni rapporti fra Putin e la Merkel non hanno mai permesso all’asse tra i due paesi di incrinarsi.

La Francia si appresta invece ad eleggere un nuovo Presidente in Primavera. La corsa per l’Eliseo si terrà probabilmente fra il Presidente in carica, Emmanuel Macron, e il candidato dell’ultra-destra populista Eric Zemmour.

Per assicurarsi un nuovo mandato, Macron ha cercato nelle ultime settimane di agire in prima persona per salvare la pace in Europa. I colloqui fra lui e Putin non hanno dato, tuttavia, gli esiti sperati.

Negli USA la situazione appare ancora più caotica e complessa. In politica interna, Biden sta cercando di risollevare l’economia del paese dopo lo shock pandemico per guadagnare terreno sui Repubblicani in vista delle fondamentali elezioni di mid-term, in programma a Novembre, in cui si assegneranno gran parte dei seggi per il Senato e la totalità per la Camera dei Rappresentanti.

Il principale rivale di Biden rimane, ad oggi, l’ex Presidente Trump, il quale non manca di rinfacciare all’attuale amministrazione la debolezza americana in politica estera, soprattutto in seguito al maldestro ritiro dall’Afghanistan della scorsa estate.

Con la recessione economica causata dalla pandemia, e con questa situazione di instabilità e incertezza politica nei principali paesi del blocco occidentale, Putin aveva fra le mani un’occasione estremamente ghiotta per imprimere alla politica internazionale una svolta decisiva a suo favore.

L’invasione dell’Ucraina è avvenuta col presupposto che la NATO e l’Unione Europea non avrebbero risposto in maniera univoca e decisiva. L’America sembra aver perso da diversi anni la voglia di fare il poliziotto del mondo, intervenendo militarmente solo in zone di interesse primario per Washington; l’Europa, invece, non ha mai dato prova di essere veramente un blocco omogeneo, e la sua politica estera nell’affrontare precedenti crisi ha lasciato a desiderare.

Come ha inciso l’intervento russo dello scorso 24 Febbraio sul sistema delle relazioni internazionali?


Perché questa crisi interessa fortemente anche le altre due grandi potenze, Cina e USA, apparentemente non coinvolte? Ed infine, la mossa di Putin si rivelerà vincente o finirà per ritorcersi contro di lui?


L’azzardo di Putin e la risposta europea all’invasione dell’Ucraina

Nonostante i servizi di intelligence americani denunciassero da settimane l’ammassamento di migliaia di truppe lungo i confini ucraini, in pochi si sarebbero aspettati un’invasione russa su larga scala.

Putin riporta la guerra in Europa, mandando in frantumi quel senso di sicurezza comune che aveva caratterizzato il Vecchio Continente dai tempi di Jalta.

Tuttavia, osservando la risposta militare ucraina, quella che sulla carta doveva essere un’operazione abbastanza rapida, rischia di trasformarsi per Putin in una lenta e micidiale guerra di logoramento. Nonostante la schiacciante superiorità militare e logistica, l’esercito russo appare al momento in difficoltà nel conquistare i principali centri del paese. Il rischio di una vietnamizzazione del conflitto ucraino è da tenere in conto; ciò indebolirebbe fortemente Mosca, impegnata a controllare un paese profondamente ostile e ad affrontare una resistenza casa per casa degli ucraini.

Putin ha probabilmente sottovalutato anche un altro fattore: la risposta europea all’invasione dell’Ucraina è stata sorprendentemente rapida e compatta.

Tutti i paesi europei, compresi quelli storicamente neutrali come la Svizzera, si sono schierati nettamente a difesa di Kiev, condannando la guerra dell’autocrate russo.

A livello pratico, ciò si è tradotto nell’approvazione di un blocco di sanzioni senza precedenti che, sul lungo periodo, strangoleranno l’economia russa.

Inoltre, molti stati europei hanno approvato una risoluzione che consente al governo nazionale di inviare armi in Ucraina per sostenere la resistenza del popolo contro l’aggressione russa.

La strategia di Europa e USA è quella di far sanguinare il più possibile Putin, cercando di indebolirlo sul lungo periodo, per poi farlo arrivare ad una pace o ad un compromesso. Ciò comporta, però, un sacrificio umano importante del popolo ucraino lasciato da solo a combattere, e la probabile distruzione di buona parte del paese.

La mossa di Putin può rivelarsi controproducente anche sotto un altro punto di vista.

Una delle cause che ha spinto il Cremlino ad invadere è stata l’inarrestabile espansione della NATO verso est. L’Alleanza Atlantica, nata durante la Guerra fredda per proteggere l’Europa occidentale, sotto influenza americana, da un possibile allargamento verso ovest dell’URSS si era un po’ svuotata di significato dopo il crollo dell’Unione Sovietica, divenendo una sorta di megafono dell’espansionismo americano.

Con l’attacco ad un paese europeo libero e sovrano, Putin ha di fatto dato nuova legittimità all’esistenza della NATO, dimostrando che la pace in Europa non è una cosa scontata, e che l’espansionismo russo non è affatto morto. Ciò ha comportato, inoltre, nuovi cambiamenti radicali in politica di difesa a livello europeo.

La Germania ha già annunciato una corsa al riarmo, aumentando la quota dei suoi investimenti da destinare alla Difesa e all’approvvigionamento militare.

A Bruxelles, alla luce degli eventi in Ucraina, è stata proposta dopo decenni, l’idea di creare un meccanismo di difesa intraeuropeo che vada ad affiancare, o a sostituire, la NATO. Tale progetto, fallito durante i primi anni cinquanta del Novecento (la famosa CED di Pleven e De Gasperi), potrebbe essere riproposto in risposta alla pericolosità dell’espansionismo di Putin.


Washington e Pechino: attori lontani, ma non troppo

Ciò che sta accadendo in Ucraina si sta trasformando, giorno dopo giorno, in una crisi di portata globale, che non può non coinvolgere anche le due superpotenze per eccellenza, Stati Uniti e Cina.

Gli USA momentaneamente si sono mossi sulla falsa riga dei loro alleati europei, ovvero varando pesanti sanzioni contro il Cremlino e inviando armamenti per supportare la resistenza ucraina.

Biden ha inoltre dispiegato migliaia di uomini nel Baltico e in Romania, avvertendo Putin che l’America sarebbe pronta a difendere ogni centimetro del suolo dei paesi NATO, qualora la Russia attaccasse.

L’America, tuttavia, non vuole e non cerca un escalation militare diretta. Washington non ha interesse ad intervenire direttamente in Ucraina, perché non la ritiene una pedina fondamentale nella strategia americana.

Biden deve trarre il massimo profitto da questa crisi, ma con il minimo sforzo. La tattica americana adottata per ora è quella del bleeding, indebolendo la Russia attraverso sanzioni durissime e finanziando e armando gli ucraini. È molto simile a ciò che fecero quando i Sovietici invasero l’Afghanistan nel 1979.

Indebolire Mosca è importante per poter concentrare tutte le proprie energie nell’affrontare quello che i policy-makers americani ritengono il nemico numero uno, ovvero la Cina.

La posizione di Pechino in merito al conflitto ucraino è apparsa, al momento, abbastanza ambigua e altalenante.

La Cina rappresenta il principale partner della Russia. Se Mosca vuole sopravvivere alle sanzioni occidentali, deve fare totale affidamento sugli aiuti e sul supporto cinese.

Resta il fatto che la guerra di Putin non conviene per niente a Pechino per una serie di ragioni: innanzitutto, la Cina è il principale partner economico dell’Ucraina; il governo cinese ha investito fortemente a Kiev negli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda il settore delle infrastrutture e, con la guerra che sta devastando il paese, questa importante fetta di mercato rischierebbe di svanire; il governo di Xi ha inoltre importanti interessi nella stessa Europa, in primis in Germania, scavalcando l’America nel ruolo di principale partner economico di Berlino e appare quindi chiaro che, con un’Europa nettamente schierata contro Putin, difendere a spada tratta l’invasione russa è un rischio che la Cina non può permettersi di correre.

Pur comprendendo le motivazioni dell’invasione, e condannando l’espansione occidentale a ridosso dei confini russi, Pechino ha tuttavia criticato la soluzione militare al problema, dichiarando, allo stesso tempo, l’inviolabilità della sovranità ucraina.

La Cina sta cercando di far sedere le due parti al tavolo dei negoziati, consapevole che la situazione di guerra è altamente sfavorevole per i suoi progetti di potenza e leadership internazionale.

Qualora Pechino riuscisse nel suo intento, avrebbe tutto da guadagnare.

I mercati europei resterebbero ancora aperti al Gigante cinese, permettendo a Pechino di continuare ad investire nel Vecchio Continente per scalzare l’influenza americana.

Il ruolo da mediatore della Cina potrebbe mettere in buona luce l’operato di Xi Jinping, e far apparire la Cina quasi come una potenza benevola e pronta al dialogo.

Così facendo, Pechino indebolirebbe anche gli USA a livello diplomatico, i quali non si stanno mostrando aperti alla soluzione diplomatica a differenza del loro rivale asiatico.

Per concludere, la crisi in Ucraina appare al momento in una fase di stallo, in cui la logica delle armi ha il sopravvento sul dialogo e sulla diplomazia. I meeting fra le due parti non hanno dato alcun risultato concreto, e il rischio che il conflitto si protragga per settimane o mesi non è un’ipotesi da escludere.

Il ruolo di attori esterni che possano mediare non va sottovalutato; oltre alle timide iniziative cinesi, un ruolo importante l’hanno avuto i governi di Turchia e Israele, ma al momento le richieste di Russia e Ucraina sono inconciliabili.

Non possiamo prevedere come e quando la crisi ucraina terminerà, ma possiamo affermare che il sistema delle relazioni internazionali e la logica su cui esso si è basato dal 1991 fino ad oggi usciranno completamente cambiati dagli orrori che si stanno consumando, giorno dopo giorno, su tutto il territorio dell’Ucraina.






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