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Libera Chiesa in libero Stato: il principio di laicità


di Marta Tomassini.


Il principio di laicità dello Stato rappresenta uno dei capisaldi del costituzionalismo liberale, strettamente connesso alla libertà religiosa, di cui rappresenta lo strumento a sua difesa.

La separazione tra stato e religione adottata dallo stato liberale permette di far confluire quest’ultimo nel concetto di stato laico, che afferma la tolleranza nei confronti dell’esercizio della libertà religiosa e si preoccupa di evitare interferenze reciproche tra stato e chiese.

Tuttavia, precedentemente all’affermazione dello stato liberale laico, il processo storico di formazione degli stati nazionali europei e di consolidamento delle monarchie assolute, che ne hanno espresso l’assetto esclusivo di governo, ha determinato una commistione tra attori politici e religiosi all’interno dell’organizzazione istituzionale, che spesso si configurava come un regime di intolleranza quanto all’esercizio della libertà di religione individuale e collettiva ed un ricorso anche a fondamenti religiosi per teorizzare la legittimità della sovranità del monarca.


La corona titolare del potere sovrano non rinuncia ad utilizzare la religione e l’organizzazione religiosa come fonte di consacrazione della propria investitura.

Tali modalità finalizzate ad un affrancamento delle monarchie nazionali dalla supremazia temporale della chiesa romana hanno dato origine al cosiddetto giurisdizionalismo, una disciplina dei rapporti tra potere statale e potere ecclesiastico, di cui il principio «cuius regio, eius et religio» è espressione. Il sistema giurisdizionalista riconosce allo Stato una certa ingerenza nell’organizzazione religiosa, mentre alla Chiesa viene riconosciuta la qualità ufficiale di religione di stato e di conseguenza può godere di una posizione del tutto privilegiata nei confronti delle confessioni religiose minoritarie (De Vergottini 2022: 482).

Nel Settecento la dottrina illuminista ha dato alla luce il principio di laicità dello stato, il quale, però, appare legato anche a principi cristiani, come quelli di libertà, uguaglianza, fratellanza, tolleranza, rispetto e riconoscimento politico, ponendosi in antitesi rispetto al totalitarismo politico e al fondamentalismo religioso (De Vergottini 2022: 480).

Tuttavia, tale separazione tra Stato e Chiesa non ha avuto uno sviluppo istituzionale univoco e costante, in quanto fortemente condizionato dalla realtà storica e sociale e dalla presenza di una forte tradizione religiosa maggioritaria nella popolazione.


La laicità positiva e quella negativa

La laicità dello Stato, così come nasce dall’Illuminismo e si afferma dopo la Rivoluzione francese, è caratterizzata da autonomia dello stato rispetto a qualsiasi sistema religioso e da aconfessionalità e neutralità dell’ordinamento statale.

Francia e Stati Uniti hanno abbracciato il principio di laicità nella sua accezione negativa. Ciò significa che il modello della separazione tra Stato e Chiesa in questi due stati riceve applicazione tramite un principio di indifferenza.

Per quanto riguarda il modello francese, l’obiettivo della separazione dei due poteri è di proteggere il principio di laicità attraverso una neutralità militante, detta laïcité de combat, al fine di rendere più efficace la rigidità della netta demarcazione tra la Repubblica e il fenomeno religioso.


Seppur l’atteggiamento statale di indifferenza sia marcato non può dirsi assoluto: infatti, la legislazione statale francese riconosce e garantisce il fenomeno religioso, che è inteso come un fatto privato, riguardante la coscienza del singolo (De Vergottini 2022: 485).

Il 9 dicembre 1905 una legge francese ha sancito la separazione tra Stato e Chiese, configurando definitivamente lo stato come separatista, laico e aconfessionale.

Tale configurazione è stata ripresa dal testo costituzionale del 1958, il quale all’articolo primo dispone che «la Francia è una Repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale».

Negli ultimi anni la laicità francese improntata all’indifferenza rispetto al fenomeno religioso è stata messa in difficoltà dalla presenza della minoranza musulmana: la legge 228 del 2004 e la legge 11 ottobre del 2010 hanno rispettivamente vietato l’uso di simboli religiosi nelle scuole statali di ogni ordine e grado e l’uso del velo integrale negli spazi pubblici, riaffermando la volontà di confinare il fenomeno religioso all’interno della sfera privata.

Anche gli Stati Uniti hanno adottato il modello di laicità negativa, ispirato ad una rigorosa concezione della separazione tra stato e confessioni religiose organizzate.

Il primo emendamento del testo costituzionale del 1789 prevede un limite alla potestà legislativa del Congresso, cui è precluso concedere un riconoscimento ufficiale a qualsiasi religione e proibirne il libero culto. L’introduzione di un regime di separazione così rigido voleva escludere che attraverso forme di riconoscimento ufficiale da parte degli organi federali si finisse col privilegiare una sola confessione, a discapito delle altre, compromettendo di fatto l’autonomia dei singoli stati membri. Eppure, con il progressivo rafforzamento del governo federale, la separazione stato-religione si è di poco fatta meno rigida: dagli anni ’80 del ‘900 la Corte suprema statunitense ha abbracciato la teoria del «muro di separazione».


Anche nel caso statunitense, il separatismo tra i due poteri è rigoroso ma non assoluto: l’azione statale non deve favorire né impedire la religione né determinare un eccessivo coinvolgimento dello stato con la religione, tuttavia la Corte suprema ha ammesso che la separazione totale non è possibile in termini assolutistici e che il rapporto tra il governo e le organizzazioni religiose è inevitabile.

Quindi, nel corso del tempo, si è affermata una dottrina che riconosce la legittimità dell’azione statale volta a favorire la religione e nella pratica si è affermata una netta preferenza per la religione rispetto alle manifestazioni non religiose della coscienza (De Vergottini 2022: 483).

Infine, per quanto riguarda il modello positivo di laicità dobbiamo fare riferimento a quelle carte costituzionali che si sottraggono da una neutralità assoluta poiché riconoscono, sostengono e forniscono tutela agli interessi religiosi dei cittadini e che riconoscono un regime preferenziale per alcune confessioni, come la preferenza per la confessione cattolica in Italia.


Il principio di laicità in Italia

Come suddetto, il principio di separazione tra stato e religione non si traduce esclusivamente nella proclamazione e nella tutela dell’indifferenza o dell’agnosticismo pubblico in materia religiosa, ma risulta compatibile anche con una disciplina favorevole alla pratica in sé della religione purché senza discriminazioni. È questo il caso italiano, in cui si rinviene l’adozione del modello positivo di laicità, applicato attraverso il principio di collaborazione.

Nell’ordinamento italiano, sia a livello costituzionale sia a livello ordinario manca una legge sulla laicità dello Stato e sulla libertà di religione. Nel corso dei governi Andreotti (1990), Prodi (1997), Berlusconi (2002), Prodi (2007) sono stati presentati disegni di legge in merito, che però hanno incontrato ostacoli in sede di approvazione parlamentare fino a decadere.

Nella prassi i rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni religiose sono stati contraddittori e l’applicazione pratica del principio di laicità è stata debole.


Si pensi all’interferenza delle confessioni religiose nel tentativo di disciplinare materie riguardanti la bioetica, i diritti civili ecc.

Emblematico è il caso del Ddl Zan, il cui iter è stato bloccato in Senato applicando una procedura speciale, denominata «tagliola», in base alla quale prima che abbia inizio l’esame degli articoli di un disegno di legge, un senatore per ciascun gruppo può avanzare la proposta che non si passi a tale esame. Tralasciando la questione puramente parlamentare, che ha visto 154 parlamentari favorevoli all’applicazione di questa procedura, ciò che preme sottolineare è la richiesta formale compiuta dal Vaticano di modificare il testo di legge. Infatti, la Santa sede ritiene che il disegno di legge Zan in materia di omofobia comprometta alcuni principi contenuti nel concordato. Ciò ha sollevato varie polemiche poiché mai, prima del 2021, la Chiesa era intervenuta nell’iter legislativo italiano, esercitando le facoltà previste dai Patti Lateranensi. Nella nota verbale si legge: «Alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato».

Il comma 1 assicura alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale; il comma 2 garantisce ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. Il Vaticano ha quindi manifestato una preoccupazione per le condotte discriminatorie ed il timore che l’approvazione della legge comporti rischi di natura giudiziaria. Il punto della questione ovviamente non è l’essenza della posizione della Chiesa, bensì la modalità di espressione di questa: la consegna di una nota verbale, cioè l’utilizzo di uno strumento diplomatico.


…dal punto di vista storico

Affinché si possa comprendere la peculiarità della separazione tra potere civile e potere religioso nel nostro paese è necessario ripercorrere le tappe principali che hanno portato alla disciplina odierna dei rapporti tra Stato e Chiesa.

A partire dal 1861, anno dell’Unità, si ripropone la questione romana, denominazione che indica il conflitto sorto inizialmente tra la Santa Sede e il movimento nazionale italiano e poi tra il Papato e lo Stato unitario per la sovranità su Roma. Il Risorgimento e la Chiesa cattolica, il Regno di Italia e lo Stato pontificio sono i termini di una storia complessa, che vede la fine del potere temporale dei papi e del completamento dell’Unità nazionale.


All’alba della nascita dello stato unitario, Camillo Benso di Cavour chiarisce un principio - libera chiesa in libero stato - che riassume il proprio pensiero in merito alla questione romana e ad una sua ipotetica soluzione. Il governo del neonato Regno d’Italia dà inizio alle trattative con la Santa sede: la proposta di soluzione pacifica della questione romana prevede la garanzia per il Sommo pontefice e il clero di poter esercitare liberamente il proprio magistero spirituale, in cambio della rinuncia al potere temporale. Tuttavia, papa Pio IX rifiuta la proposta di Cavour e dei suoi successori; permane, quindi, una situazione di stallo, fino a quando, il 20 settembre 1870, con la breccia di Porta Pia, le truppe piemontesi entrano a Roma, sancendo di fatto la fine del potere temporale della Chiesa. Qualche giorno dopo, infatti, tramite plebiscito, viene proclamata l’annessione di Roma e Lazio al Regno di Italia.

Successivamente, nel 1871, il governo approva la Legge delle guarentigie, cioè delle garanzie, che definiva i rapporti tra Stato e Chiesa: al papa sono riconosciuti gli onori sovrani, la possibilità di avere un corpo di guardie armate ed una rappresentanza diplomatica. Inoltre, si riconosce l’extraterritorialità per i palazzi del Laterano e del Vaticano, ma Pio IX continua ad opporsi al potere sabaudo e nel 1874 vieta ai cattolici, secondo la famigerata formula «non expedit», di partecipare alle elezioni politiche e in generale alla vita politica dello stato italiano.


All’inizio del Novecento, però, le cose cambiano: di fronte all’avanzata delle forze laiche, Pio X, con l’enciclica «Il fermo proposito» del 1905, pur non revocando formalmente il divieto, consente ai cattolici di partecipare alla vita politica solo in particolari circostanze riconosciute dai vescovi. L’ambiguità di questa disposizione porta, nel 1913, all’accordo tra liberali e cattolici, sancito dal noto Patto Gentiloni. Nel 1919, poi, Don Luigi Sturzo fonda il Partito popolare italiano: la presenza cattolica nella politica italiana è ufficialmente organizzata in forma partitica.

Seppur lo stato italiano abbia sempre tentato di risolvere le tensioni tra Stato e Chiesa, le trattative più concrete sono avviate dopo il primo conflitto mondiale. Il protagonista di questa nuova stagione è Mussolini, che sin dal 1919, anno di nascita dei Fasci di combattimento, si era sempre definito laico. Nonostante l’anticlericalismo, dopo il 1922, Mussolini protende alla conclusione di un accordo con la Santa Sede, poiché si era posto il problema della legittimazione del potere tramite consenso: egli comprende che in un paese come l’Italia, in cui la maggioranza della popolazione si dichiara cattolica, l’unico modo per ottenere consenso è stringere un accordo.


Mentre tra la Chiesa e Mussolini si avvia un dialogo, all’interno del partito cattolico, le voci contrarie a tale accordo restano isolate, come quella di Sturzo, che è indotto a lasciare l’Italia.

L’11 febbraio 1929, dopo un periodo di trattative segrete, sono stipulati i Patti Lateranensi, firmati da Mussolini e dal Cardinale Pietro Gasparri.


I Patti comprendono tre documenti: il Trattato, la Convenzione finanziaria e il Concordato.

Il Trattato risolve la questione romana, dando vita allo Stato della Città del Vaticano, e richiama l’articolo 1 dello Statuto albertino, che riconosce la religione cattolica come religione dello stato.

Con la Convenzione finanziaria il Regno di Italia si impegna a pagare alla Santa sede le annualità previste dalle Guarentigie, che la Chiesa aveva sempre rifiutato in segno di protesta.

Infine, il Concordato regola le condizioni della religione in Italia, garantendo di fatto alla Chiesa un ruolo di particolare importanza e privilegio.

Per il regime fascista i Patti Lateranensi rappresentano un grande successo politico, anche a livello internazionale: Mussolini è presentato come l’uomo della conciliazione, capace di portare a termine l’opera di Cavour. La stampa cattolica esalta l’accordo come premessa di restaurazione religiosa nel paese. Non tutti, però, sono convinti: Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, scrive: «l’annuncio ha certo recato grande piacere per la fine di un’annosa e dolorosa questione, ma ha insieme recato qualche turbamento».

Il successo dei Patti Lateranensi per il regime si manifesta nel marzo del 1929, alle elezioni plebiscitarie: il 90% degli aventi diritto di voto si presenta alle urne e il 98% vota in favore del regime.

Dopo la seconda guerra mondiale ha inizio una nuova fase dei rapporti tra Stato e Chiesa.

Il 25 giugno 1946 cominciano i lavori dell’Assemblea costituente: alla scrittura della Costituzione partecipano tutte le forze politiche, finalizzate alla ricerca di una sintesi tra i vari orientamenti.


Esempio di questa sintesi è l’articolo 7. Si tratta dell’articolo in cui sono regolati i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica: la Santa sede intende richiamare esplicitamente i Patti lateranensi, ma le forze laiche non sono d’accordo, poiché l’ordinamento dello stato sarebbe stato confessionale e non laico. Al comma primo è stato previsto il principio dell’indipendenza tra Stato e Chiesa cattolica, ma al secondo comma sono stati richiamati i Patti lateranensi, contenenti elementi di confessionalità, che hanno ostacolato di fatto la realizzazione del principio di laicità nell’ordinamento costituzionale italiano.

Di fronte alla bozza dell’articolo 7, il Partito comunista si divide: per non rompere i rapporti con i cattolici, Togliatti difende i Patti lateranensi, ma molti all’interno del Pc sono contrari. L’approvazione giunge il 25 marzo del 1947, con 350 voti favorevoli e 149 contrari.

L’insistenza di Togliatti per l’ingresso dei Patti nel testo costituzionale è connessa all’idea per cui affinché l’Italia possa effettivamente uscire dal periodo fascista è necessaria una totale unione tra le forze politiche e la necessità di non inimicarsi la Chiesa.


Questo voto ha influenzato profondamente la politica delle istituzioni repubblicane negli anni successivi all’entrata in vigore della carta costituzionale. In conformità a quanto aveva previsto in Assemblea costituente Piero Calamandrei, la considerazione dello Stato come braccio secolare delle istanze provenienti dalla Chiesa cattolica per un lungo periodo è stato il fulcro della questione dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica.

Altro momento fondamentale per i rapporti tra Stato e Chiesa è rappresentato dal Patto di Villa Madama, anche noto come «nuovo concordato», stipulato il 18 febbraio 1984 ed entrato in vigore a partire dal 1985. Si tratta della conclusione di una revisione dei Patti lateranensi, e di parallele trattative, iniziata tempo prima e dettata dai cambiamenti socio-culturali che attraversano il paese.

Con l'Accordo del 1984 sono state introdotte molteplici e sostanziali innovazioni al Concordato del 1929, il quale è stato integralmente sostituito dalle nuove disposizioni. Il nuovo Concordato si configura come un accordo-quadro di principi fondamentali che regolano l'indipendenza dei rispettivi ordini dello Stato e della Chiesa, individuando gli specifici capisaldi costituzionali, sui quali ricostruire il sistema dei loro rapporti con l'articolato rinvio ad ulteriori intese su specifiche questioni, da stipulare successivamente tra autorità statali ed ecclesiastiche competenti.


…dal punto di vista giuridico

Nell’ordinamento italiano, il principio di laicità non è solennemente proclamato dalla Costituzione del 1948: ciò ha prodotto problematiche generate dall’oscillare dello stato italiano dalla laicità alla confessionalità.

Tuttavia, il principio di laicità ha ottenuto il rango di principio supremo dell’ordinamento per via giurisprudenziale: la Corte costituzionale, nella sentenza n. 203/1989, ha affermato che il contenuto del concetto de quo implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale (De Vergottini 2022: 484). Inoltre, la Corte, nella sentenza n. 334/1996, ha ampliato il significato del principio di laicità, prevedendo il principio della distinzione tra ordine civile e ordine religioso. Infine, nelle sentenze 329/1997 e 508/2000, la Corte costituzionale ha chiarito che il principio di laicità comporta equidistanza e imparzialità rispetto a tutte le confessioni religiose e caratterizza in senso pluralistico la forma del nostro Stato, entro cui devono convivere fedi, culture e tradizioni diverse.

Nel testo costituzionale sono due gli articoli che disciplinano i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni: rispettivamente, gli articoli 7 e 8.

L’articolo 7 consta di due commi. Il primo comma dispone che «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»: dunque, la Chiesa cattolica è riconosciuta come ordinamento giuridico originario, posta sullo stesso piano dello Stato. Il secondo comma recita: «I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale». Il richiamo dei Patti del 1929 in Costituzione non ha implicato una loro costituzionalizzazione, bensì la necessità di una legge rinforzata per la loro modifica. Tuttavia, poiché questi contengono elementi di confessionalità, hanno ostacolato la realizzazione del principio di laicità nell’ordinamento costituzionale italiano.


Invece, l’articolo 8 prevede l’autonomia organizzativa delle confessioni nel rispetto dell’ordinamento giuridico italiano e la definizione dei rapporti tra le confessioni e lo Stato mediante intese. Inoltre, l’espressione contenuta nel primo comma - «egualmente libere davanti alla legge» - va intesa come eguaglianza nella libertà, a garanzia dell’esercizio, senza limitazioni e a parità di condizioni, di ogni libertà, in particolare quella religiosa. Infine, le intese non possono essere una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione né per usufruire di norme di favore. Il fatto di non aver stipulato un’intesa con lo Stato non può quindi costituire motivo di discriminazione, ma solo le confessioni regolate da intese possono partecipare al riparto dell’8 per mille.

Fino agli anni ’80 il principio di eguale libertà di tutte le confessioni è stato oggetto di interpretazione discriminatoria: la Corte costituzionale legittimava una tutela penale rinforzata della religione cattolica, limitando di fatto la libertà religiosa delle altre confessioni. Dopo l’Accordo del 1984, che ha abrogato il principio della religione cattolica come religione di Stato, e il conseguente avvio della stagione delle intese, la giurisprudenza costituzionale ha mutato orientamento sulla base del principio di laicità. Emblematica è la sentenza 508/2000 che ha dichiarato l’illegittimità del reato di vilipendio della religione cattolica, ex art. 402 c.p., riconoscendo che in forza dei principi fondamentali di uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di religione, l’atteggiamento dello Stato non può che essere di equidistanza e imparzialità.


Per quanto riguarda i rapporti tra lo Stato e la confessione cattolica, fondamentale è l’Accordo del 18 febbraio 1984, firmato da Craxi e Casaroli a Villa Madama. Tale documento costituisce una revisione dei Patti lateranensi e fissa i punti principali dell’accordo, contenuti in 14 articoli e successivamente integrati da un Protocollo addizionale e da un Atto di nomina della Commissione paritetica italo-vaticana per la riforma della legislazione concordataria in tema di enti e beni ecclesiastici. Nell’articolo 1 viene elevato a principio cardine dei rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica il dettato conciliare che parla di sana cooperazione tra le due istituzioni, pur sempre nella salvaguardia della rispettiva autonomia e indipendenza dei propri campi. Innovativo è l’art. 7, che regolamenta la complessa questione degli enti ecclesiastici e del loro mantenimento mediante l’otto per mille, che prevede che ogni anno una quota dell’imposta sul reddito delle persone fisiche sia destinata, su scelta del contribuente, o a scopi di interesse sociale e di carattere umanitario a diretta gestione statale o a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica. Infine, importanti sono gli articoli 9 e 13. Il primo garantisce alla Chiesa la possibilità di fondare istituti scolastici di ogni tipologia e grado e di poter liberamente esercitare la professione dell’insegnamento; inoltre, è assicurato il mantenimento dell’ora di religione che però non ha carattere obbligatorio in alcuna scuola di ordine e grado. Il secondo prevede che ulteriori materie per le quali necessiti la collaborazione tra Chiesa cattolica e Stato possano essere regolate sia con nuovi accordi tra le due parti, sia mediante intese tra le competenti autorità dello Stato e la Conferenza episcopale italiana.



Osservando la prassi possiamo notare come la laicità statale sia, però, costantemente influenzata dalla religione. Se dovessimo considerare il caso italiano, sarebbe utopico immaginare un ordinamento effettivamente neutro rispetto alla Chiesa cattolica. Come è accaduto e come accadrà in futuro, proposte legislative il cui contenuto riguarderà aspetti comuni alle varie confessioni, specialmente quella cattolica, saranno necessariamente condizionate da valori etici e religiosi. Valori adottati da una parte della classe dirigente e politica, cui di certo non si può chiedere di rinunciarvi. Sarebbe opportuno però che ciascuno, indipendentemente dalla confessione cui appartiene, si ricordi che i propri principi religiosi non sono imponibili.








Bibliografia:

-Barbera A., Fusaro C. (2020). Corso di diritto costituzionale. Bologna: Il Mulino

-De Vergottini (2022). Diritto costituzionale comparato. Padova: Wolters Kluwer – Cedam





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