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  • Writer's pictureKoinè Journal

L'Europa si difende in piazza


di Luca Simone.


In centinaia di migliaia sono scesi in piazza a Tbilisi, capitale della Georgia per protestare contro quella che è stata definita “legge russa”, ovvero la legge contro gli agenti stranieri. Secondo il provvedimento voluto dal governo georgiano formato da una coalizione di partiti populisti, il provvedimento andrebbe a limitare l’azione di possibili “agenti stranieri” sull’informazione pubblica e sulla società civile. Stando al testo presentato in parlamento le ONG e i Media avrebbero l’obbligo registrarsi all’interno di un database governativo per garantire “trasparenza” riguardo i propri finanziamenti. Verrebbero considerati “agenti influenzati dall’estero” tutti quei soggetti che superano la soglia del 20% di fondi provenienti da enti o paesi stranieri. In caso di mancata registrazione è poi prevista una multa.


Alla notizia della presentazione della proposta di legge migliaia di manifestanti si sono riversati in piazza accusando il governo di voler svilire la democrazia e cercare di attuare una svolta “putiniana” e “orbaniana”. La paura dei georgiani è quella di una contrazione delle libertà civili e di una trasformazione del Paese in una democratura o, peggio ancora, in un’autocrazia su modello della Federazione Russa, fatto che riporterebbe indietro di quarant’anni l’orologio della Storia. La legge, in caso di approvazione, sarebbe una pericolosa pietra d’inciampo sul decennale percorso intrapreso dalla Georgia per cercare di entrare a far parte dell’UE, una questione delicata e altamente sentita dalla popolazione che, solo trent’anni fa era sottoposta all’URSS.


Stando ad alcuni sondaggi circa l’80% della popolazione georgiana è favorevole ad un’entrata del Paese all’interno dell’Unione, sia per la prospettiva di un miglioramento delle condizioni di vita e dell’economia sia per quella di accedere all’area Schengen e ai trattati di Maastricht e poter così emigrare legalmente in tutti gli altri Paesi membri. Ad oggi l’adesione appare ancora molto lontana, ma esemplificativa della voglia di entrare nell’UE è sicuramente la grande mobilitazione popolare per contrastare una legge che mette a rischio uno dei pilastri libertari su cui si fonda l’intera idea di Europa.


L’altro grande movimento d’opinione e mobilitazione riguarda la globale protesta degli studenti contro la guerra di Gaza che, a partire dal 7 ottobre, ha reclamato la vita di 40.000 civili, principalmente donne e bambini. Entrambe le parti in conflitto si sono macchiate di violenze indicibili ma, negli ultimi mesi, la campagna militare intrapresa da Israele e l’imminente attacco terrestre a Rafah (un bagno di sangue annunciato), ha scatenato le immediate reazioni della comunità internazionale. Se a livello diplomatico Tel-Aviv risulta ormai quasi isolata (almeno apparentemente), l’intera comunità studentesca mondiale ha deciso di mobilitarsi per richiedere la cessazione delle ostilità e l’avvio di accordi di pace che possano mettere fine al massacro.


Il movimento è attivissimo anche in Italia, con decine di importanti atenei occupati pacificamente da studenti che premono per un boicottaggio degli accordi di ricerca con impatti militari tra università italiane e israeliane. In migliaia hanno scelto di piantare nuovamente le “tende” davanti ai rettorati, in una riedizione del movimento che lo scorso anno chiedeva semplicemente di avere diritto ad una casa per poter studiare (ne avevamo parlato in un reportage).


Pace, libertà, diritti, inclusione, non sono forse questi i diritti su cui si fonda l’idea di Europa unita? Il manifesto di Ventotene, pilastro di una nuova idea di pace europea, voluto da Altiero Spinelli nei tragici giorni del confino imposto dal regime fascista non si basa forse su questi semplici slogan urlati a gran voce nelle piazze? Eppure, queste manifestazioni vengono accolte da manganellate e repressione, dalla Georgia agli Stati Uniti passando anche (come sempre) per la nostra cara Italia. Abbiamo tutti negli occhi le immagini delle cariche della polizia sugli studenti inermi di Pisa, Torino, Padova, Bologna, Napoli e tante, troppe altre città.


Perché non ragionare con queste piazze, perché non cercare un dialogo e un’intesa con un popolo che chiede solo pace e libertà? Tra poche settimane si terrano le elezioni europee, forse le più importanti della storia dell’UE a causa degli importanti dossier internazionali che decideranno il futuro politico di un continente. Ma, indipendentemente da quale partito o quale coalizione vincerà, a cosa servirà il successo elettorale se nelle piazze, l’anima dell’Europa viene calpestata e dimenticata? Se si rinuncia ad ascoltare la voce di chi chiede di difendere le idee su cui si basa l’intero processo di integrazione, che speranze ha l’Europa di sopravvivere?


È nelle piazze che, al momento, va ricercata l’Europa, ma nessuno sembra rendersene conto. La politica, non solo quella italiana, sceglie la via dell’ordine riportato dai manganelli e dagli idranti, per cercare di sedare un movimento globale che per portata ricorda gli anni del Sessantotto. Anni su cui si può discutere a lungo ma che, innegabilmente, hanno cambiato il mondo e la società che lo abita, chiudendo un’era e aprendone un’altra. Al momento è totalmente assente la volontà di dialogo tra due mondi che avrebbero molte più cose in comune di quello che si è portati a pensare. O almeno così dovrebbe essere.


Non è nei palazzi di pietra che risiede l’Europa, ma nell’idea che ha contribuito a fondarla e contribuisce oggi ad alimentarla. La sua vita però sarà breve se si continua a manganellarla per evitare qualche scritta di troppo sui muri delle università.

 

 

 

Image Copyright: AP

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