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Non era una gara, ma ha vinto Donzelli

Writer's picture: Koinè JournalKoinè Journal

di Valentina Ricci.


In questi ultimi giorni il Parlamento sembra essersi trasformato in un palcoscenico per spettacoli di stand-up comedy, non ci siamo accorti che è iniziata una gara a chi la dice più grossa, ma possiamo dire con sicurezza che Donzelli ha vinto.


Cosa è successo di così grande da aver sollevato un polverone di dimensioni altrettanto mastodontiche? Semplice: Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d’Italia e uomo molto vicino a Giorgia Meloni, ha preso parola alla Camera martedì 31 gennaio, affermando sguaiatamente, grossolanamente e anche con un certo squallore che «Cospito è un influencer che usa la mafia in questo momento per far cadere lo Stato sul 41-bis» e che Verini, Serracchiani e Orlando lo stessero incoraggiando in questa battaglia durante le loro visite in carcere. Un vera e propria bomba – di cui probabilmente nemmeno Donzelli si è reso conto – che ha condensato due accuse in una: da una parte si è ipotizzato che Cospito sia in combutta con la mafia per fare pressione sullo Stato e portarlo ad annullare il regime di 41-bis, dall’altra alcuni parlamentari sono stati denunciati di essersi uniti a questa alleanza tra anarchici e mafiosi, di cui ovviamente non esiste nessuna prova. Al di là del fatto che tutto ciò sia vero o meno (cosa che non sta a noi accertare), sicuramente c’è un errore di forma nelle parole di Donzelli: le accuse non si lanciano in Parlamento ma dalla polizia, e urlarle al vento è il miglior modo per annullarne totalmente l’efficacia.


Inoltre, c’è una cosa più importante da sottolineare e che supera i puri eventi: questa pagliacciata ha trasformato la questione serissima di un condannato al regime di 41-bis che si è reso in fin di vita per protestare contro questa sua condanna in un dramma grottesco. Così, lo Stato, che fino a qualche giorno fa era chiamato a riflettere sui suoi doveri davanti a un cittadino di cui non era in grado di garantire la salute (come richiesto dalla Costituzione), ora è chiamato a rimettere a posto una banda di scapestrati che non sanno tenere la lingua a posto, deviando tutta l’attenzione mediatica su un fatto sempre importante, ma di sicuro meno urgente. Un’occasione buttata per riflettere su una questione spinosa quanto fondamentale per il mantenimento in buone condizioni di uno Stato democratico.

Davanti a tutto questo folleggiare e urlarsi campeggiano pesanti ed enormi i silenzi di Meloni e Nordio. Non che Nordio non stia facendo nulla, ma si limita a parlare quel tanto che basta per non compromettersi (e come biasimarlo). Chi non tace mai invece è il nostro caro Matteo Salvini, che ha subito speso parola per la buonafede di Donzelli e Delmastro.


Per chiudere questa settimana politica aggiungiamo una piccola cosa sull’opposizione. Sì, esiste ancora. E no, non riguarda il caso Cospito, né il caso Donzelli, bensì l’affaire Giarrusso. Domenica 29 gennaio, durante un incontro di campagna elettorale per le primarie del Pd di Bonaccini, con lo stupore di molti è salito sul palco Dino Giarrusso. L’ex 5 stelle, dopo anni di insulti piuttosto colorati, ha deciso di mettersi la coda tra le gambe e di entrare «con rispetto e umiltà» dentro a quello stesso partito che in passato aveva detto composto di «corrotti e corruttori» (si rimanda a “il Fatto Quotidiano” per un’accurata carrellata di tutti gli improperi). Oltretutto, dopo aver riposto in soffitta dignità e amor proprio, come la povera Maria che nella tradizione biblica ha bussato a tutte le porte per farsi dare un tetto sotto cui partorire, così Giarrusso si è presentato anche alla porta di Elly Schlein e, dopo aver ricevuto un rifiuto, è passato a quella del vicino di casa, Stefano Bonaccini. E Bonaccini, forse in preda a uno slancio di compassione, l’ha accolto a braccia aperte, salvo poi rendersi conto che forse non era proprio la persona migliore da proporre come amico del Pd durante la campagna elettorale. E così, sempre per rispettare la metafora biblica, il suo ingresso è stato condizionato da scuse pubbliche. Che scena pietosa. Fortunatamente a salvare la faccia di Bonaccini è intervenuto il regolamento del Pd, che impedisce l’ingresso di Giarrusso perché appartenente a un altro gruppo nel Parlamento europeo.

La faccia di Bonaccini si è salvata, quella di Giarrusso no e se n’è tornato a casa con la coda tra le gambe, così com’era arrivato.





Image Copyright: Nanopress

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