di Nicolò Crosta.
Come sostiene Antonio Leotti nell’omonimo libro, Il mestiere più antico del mondo (contrariamente a quanto si è soliti pensare) è l'agricoltura. Ma anche la prostituzione non scherza. Si tratta infatti di un fenomeno presente in tutte le culture, sia antiche che moderne, con riferimenti addirittura nel Codice di Hammurabi (XVIII secolo a.C.). Ai giorni nostri, la Treccani definisce la prostituzione quale “attività abituale e professionale di chi offre prestazioni sessuali a scopo di lucro”, adottando come riferimento normativo la cosiddetta legge Merlin (n. 75/1958). Quest’ultima costituisce il punto d’arrivo di un’evoluzione nella regolamentazione che ha le sue basi nel secolo precedente, con un’iniziale ispirazione napoleonica. In questa sede interessa dunque soffermarsi sulle differenti maniere in cui la prostituzione è stata normata e sull’applicabilità delle norme in materia a fenomeni recenti, soprattutto a livello telematico.
La regolamentazione della prostituzione: dall’Unità d’Italia al ’58
La prima legge riguardante la prostituzione risale al 1860, quando un decreto dell’anno precedente fu convertito in legge da Cavour. Esso autorizzava l’apertura di case di tolleranza in Lombardia, con l’intento di compiacere le truppe francesi di stanza in Italia nella guerra contro l’Impero austriaco. Fu tuttavia aspramente criticata, dal momento che, a fronte di un rigido sistema di controllo delle prostitute, non ne prevedeva uno simile per i clienti.
Un miglioramento fu apportato alla legislazione con la legge Crispi del 1888. Oltre a proibire la presenza di bordelli nei pressi di negozi, scuole e asili, la legge in questione poneva l’obbligo di chiudere le imposte alle finestre di questi ultimi. Da qui l’espressione “case chiuse”, in uso ancora oggi. Inoltre, l’obbligo di registrazione non era più in vigore per le singole prostitute, ma per i luoghi.
Ancora, la legge Nicotera del 1891 rese legale la prostituzione in appartamento privato e sancì la creazione dei cosiddetti “sifilicomi”. Si trattava di ospedali appositamente per prostitute, istituiti nella credenza che queste ultime fossero portatrici di malattie veneree.
Durante il fascismo vennero introdotte misure sempre più restrittive, finché non ci si accorse della fallacia del sistema e si pensò ad una vera e propria deregolamentazione.
La legge Merlin e gli approcci europei
In epoca repubblicana, al posto della auspicata deregolamentazione intervenne tuttavia la legge Merlin (l. 75/1958). Essa abrogò tutte le leggi precedenti in materia, vietò i bordelli e creò il reato di sfruttamento della prostituzione e favoreggiamento della prostituzione. A favore della legge si schierarono il PSI, il PCI, il PRI, la DC e alcuni socialdemocratici, mentre contrari furono il PLI, il Partito radicale, il MSI, il PNM, la maggioranza dei socialdemocratici e vari dissidenti di partiti favorevoli. La DC pensò di riproporre la legge ammodernandola nel 1973, e poi nel 1998 i DS. L'intenzione fu quella di riaprire le case di tolleranza. Il tutto si risolse però in un nulla di fatto.
Al postutto, è corretto dire che la prostituzione in Italia è legale: chiunque si può prostituire e chiunque può usufruirne senza rischiare né una sanzione penale né una sanzione amministrativa. La pratica, in ogni caso, è sottoposta a dei limiti. Primo tra tutti, essa non deve coinvolgere minorenni. Se la prostituta “si offre” con modi contrari al pubblico pudore rischia una sanzione amministrativa. Se la prestazione si svolge in luogo pubblico, scatta l’illecito di “atti osceni in luogo pubblico”. Se la prestazione avviene senza il consenso della prostituta, scatta il reato di “violenza sessuale”. In ultimo, come sopra, la prostituzione è illegale se ci sono i presupposti per i reati di favoreggiamento e sfruttamento, e se avviene in una “casa di tolleranza”.
In questo senso, l’Italia segue il cosiddetto modello abolizionista, il quale non punisce la prostituzione, pur non regolamentandola (con il divieto, comunque, delle condotte di cui sopra). Altri paesi europei che optano per questa opzione sono Spagna, Danimarca, Regno Unito e Finlandia. L’altro possibile modello, quello regolamentarista, oltre a non punire la pratica tende a regolamentarla. In ben sette Paesi UE (Paesi Bassi, Germania, Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria e Lettonia) a prostituzione è legale e regolamentata. Vengono dunque imposte tasse e restrizioni nell’esercizio della prostituzione, anche con l’individuazione di luoghi appositi (i cosiddetti quartieri a luci rosse), nonché controlli sanitari obbligatori per prostitute e prostituti.
“Nuove frontiere” del fenomeno: la prostituzione virtuale
Con la diffusione di internet, l’offerta di prestazioni sessuali a scopo di lucro si è spostata anche nell’ambito virtuale: il settore delle camgirl o webcam model è infatti in continua crescita fin dai primi anni 2000. Stranamente, la giurisprudenza non si è fatta attendere e varie sono le sentenze che, negli anni, hanno affrontato la tematica. In particolare, in una sentenza del 2010 (n. 37188) la Corte di Cassazione ha equiparato la prostituzione virtuale a quella “tradizionale”. Ciò che permette il paragone è la correlazione diretta tra la richiesta del cliente (per esempio, uno spogliarello) e il comportamento posto in essere dalla cosiddetta cam-girl.
È dunque irrilevante, per i giudici, la mediazione dell’apparecchio elettronico: è sufficiente che vi siano una richiesta da un lato ed una prestazione dall’altro. Resta comunque fermo il fatto che l’utente (come chi paga per avere un rapporto sessuale con persona maggiorenne e consenziente) non commette reato. Tuttavia, se per il cliente non ci sono rischi legali, sono pur sempre configurabili per il gestore del sito le ipotesi di sfruttamento e di favoreggiamento della prostituzione.
Il reato di sfruttamento è integrato da qualsiasi condotta che tragga profitto dalla prostituzione altrui. In questo senso, la legge Merlin non richiede che il soggetto che si prostituisce sia costretto a cedere i suoi guadagni: lo sfruttamento si configura anche qualora la condivisione sia spontanea. Insomma, il gestore di un sito potrebbe rischiare di essere incriminato se il sito, oltre che mettere in contatto le escort con i clienti, trae anche un guadagno.
Invece, per quanto riguarda il favoreggiamento della prostituzione, esso implica una condotta agevolativa della vendita della prestazione sessuale (senza un necessario arricchimento). Integra il reato anche un aiuto occasionale, purché idoneo a facilitare la vendita della prestazione sessuale. Rischia quindi la reclusione da due a sei anni e la multa da euro 258 a euro 10.329 (la stessa pena prevista per il reato di sfruttamento) chi, invece di limitarsi a pubblicare l’annuncio della escort, si attiva affinché l’annuncio risulti più allettante, agevolando così l’approccio con la prostituta (Cass., sent. n. 49461/2012).
Il fenomeno Onlyfans: criticità della piattaforma
Parlando del settore dell’intrattenimento online per adulti, è impossibile non citare OnlyFans. La piattaforma, lanciata nel 2016 come sito per creatori digitali, ha conosciuto uno sviluppo impressionante negli ultimi anni. Complice anche il lockdown dovuto alla crisi pandemica, nel maggio 2020 il sito aveva circa 200.000 nuovi utenti ogni 24 ore e da 7.000 a 8.000 nuovi creatori ogni giorno. Entro il marzo dell’anno successivo, la base di utenza aveva superato i 120 milioni e i creators, collettivamente considerati, avevano guadagnato più di tre miliardi di dollari.
Onlyfans, comunque, non ospita solamente contenuti per adulti: navigando, è possibile imbattersi ad esempio anche in fitness influencers. In ogni caso, data la policy poco restrittiva sui contenuti, agli utenti è data la possibilità di condividere anche fotografie o video di nudo in cambio di una quota associativa mensile. La società paga l'80% delle commissioni riscosse al creatore dei contenuti, mentre il restante 20% è trattenuto da OnlyFans. Dopo le commissioni commerciali e di elaborazione, la quota della società è di circa il 12%.
Oltre ai contenuti accessibili tramite abbonamento, tuttavia, gli utenti spesso sono disponibili anche a creare dei “contenuti personalizzati” per gli abbonati disposti a pagare un extra. Collegandosi su Radio 24 intorno alle 20:30, alle volte è possibile ascoltare le testimonianze di qualche creator a “La Zanzara”, il popolare programma radiofonico (un talk estremo a tutti gli effetti) condotto dal duo Cruciani&Parenzo. Gli esempi di contenuti personalizzati riportati a un divertito Cruciani ed un incredulo Parenzo sono i più disparati: dal “semplice” video girato secondo le istruzioni del cliente, fino al “servizio di controllo mentale”, per cui l’utente in questione messaggiava costantemente il cliente ordinandogli cosa fare della sua giornata.
Ebbene, è proprio rispetto a questi contenuti personalizzati che si pone il problema dell’eventuale responsabilità di OnlyFans per sfruttamento della prostituzione. Ciò che viene caricato dal creator senza una richiesta precisa e fruito tramite abbonamento, infatti, rientra nell’ipotesi di “creazione, acquisto, detenzione o diffusione di immagini oscene”. Non si tratta di illeciti, a meno che non si faccia ostentazione delle suddette immagini in presenza di terzi non interessati o minori e che, ovviamente, le stesse immagini non coinvolgano minori.
I contenuti personalizzati, invece, sembrano rientrare pienamente nella definizione allargata di “prostituzione” data dalla Corte di Cassazione nel 2010. Questo perché vi sono una richiesta da un lato e una prestazione sessuale (pur mediata da uno schermo) che viene fornita dall’altro. Ecco allora che OnlyFans, trattenendo il 20% delle commissioni riscosse, trae profitto dalla prostituzione altrui.
È proprio a causa della pressione di gruppi contrari alla prostituzione, e conseguentemente delle banche e delle varie agenzie che si occupano delle transazioni dai fan all’azienda e dall’azienda ai creatori, che nell’agosto 2021 è stato apportato un cambiamento alla Acceptable Use policy di Onlyfans. A partire dall’ottobre 2021, infatti, è stata proibita la pubblicazione sulla piattaforma contenuti pornografici, permettendo esclusivamente l’upload di fotografie di nudi. Di fatto, facendo riferimento anche alle testimonianze delle più recenti intervistate a “La Zanzara”, sembra che la regola non stia ancora essendo applicata.
Possibili sviluppi
Per chi scrive, insomma, i possibili sviluppi della situazione attuale sono due: l’azienda potrebbe essere chiamata a rispondere di sfruttamento della prostituzione, anche se per ora non si registrano sentenze a riguardo; oppure potrebbero essere effettivamente implementate le norme della Acceptable Use Policy, così da evitare che si verifichi l’eventualità di cui sopra.
Questo, quantomeno, in assenza di una concreta volontà politica di normare il fenomeno ispirandosi al modello regolamentarista. L’opinione degli italiani in merito è significativa, con un 50.5% favorevole alla legalizzazione nel 2020, sceso al 48.3% nel 2021 (Eurispes). Non è questa la sede per un’analisi economica del modello regolamentarista, ma è comunque interessante notare come quest’ultimo sia adottato dai nostri vicini svizzeri e austriaci. Ciò comporta un turismo mirato da parte dei nostri concittadini, nonché un fenomeno di immigrazione all’interno della categoria delle sex worker (secondo uno studio compiuto dall'associazione Onlus Tampet, il 78% dei lavoratori del sesso in Austria è straniero).
Bibliografia:
-Antonio Leotti, Il mestiere più antico del mondo, Fandango, 2011.
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