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  • Writer's pictureKoinè Journal

Parità di genere: tra teoria e pratica


di Lucrezia Passarelli.


Alzi la mano chi ha sentito almeno una volta nella vita la frase “voi donne volete solo rompere le scatole, avete già tutti i diritti, ormai la parità tra uomini e donne è stata raggiunta”. Se abbiamo raggiunto questa desiderata parità, qual è il senso della continua esistenza del movimento femminista?


Ricordiamo che, per definizione (Treccani), il femminismo è:

movimento di rivendicazione dei diritti delle donne, le cui prime manifestazioni sono da ricercare nel tardo illuminismo e nella rivoluzione francese; nato per raggiungere la completa emancipazione della donna sul piano economico (ammissione a tutte le occupazioni), giuridico (piena uguaglianza di diritti civili) e politico (ammissione all’elettorato e all’eleggibilità), auspica un mutamento radicale della società e del rapporto uomo-donna attraverso la liberazione sessuale e l’abolizione dei ruoli tradizionalmente attribuiti alle donne.

Per cui, ritornando alla domanda iniziale, se la parità di genere è stata raggiunta come spesso si dice, perché parlare ancora oltre di femminismo?


Perveniamo, quindi, a una prima semplice risposta: nonostante il dettato costituzionale, in particolare l’articolo 3 comma 2 della Costituzione, il quale impone l’uguaglianza formale e sostanziale deз cittadinз, anche se di sesso opposto, tale parità non è stata ancora raggiunta.

Vi propongo, quindi, tre esempi al fine di dimostrarvi la presenza della persistente disuguaglianza di genere che attanaglia la nostra società.


Rappresentanza politica

In Italia le donne rappresentano il 51,3% della popolazione (*1), ma, nonostante ciò, la rappresentanza di quest’ultime in Parlamento è di gran lunga inferiore alla metà del numero di cittadine che si arresta, infatti, al 31%. In particolare, ad oggi, sono 186 le donne elette su un totale di 600 parlamentarз.


“Se ci sono poche donne in politica è perché hanno poco interesse a far politica” è questa la risposta che più frequentemente viene proposta a tale scenario, ma tale affermazione, dal mio punto di vista, banalizza la questione che, al contrario, è più complessa di così.

Un primo problema sorge dal momento in cui persiste nella società patriarcale l’idea secondo la quale l’uomo deve lavorare e la donna deve occuparsi della casa e deз figlз; l’uomo si occupa della cosa pubblica, la donna della sfera privata.


Non può, però, il discorso ridursi solo ad una questione meramente di genere, la provenienza geografica e il livello di istruzione sono altre componenti da considerare per definire il quadro completo del tema.

Come affermato da Barbara Leda Kenny, Senior gender espert della Fondazione G. Brodolini, “giovani, occupate, istruite, residenti in piccole città specialmente al nord: se questo è il profilo delle donne che partecipano di più alla vita politica, il profilo dell’astensionista è invece una donna di più di sessant’anni, residente in una città del sud, con un basso titolo di studio e, verosimilmente, povera. […] Facendo una generalizzazione, più sono grandi le disuguaglianze e minore è la partecipazione delle donne al voto.” (*2)


Ed ecco che la questione di genere si interseca inevitabilmente con la questione meridionale e le problematiche economiche.

Ritornando al voto delle donne in Italia; per darvi un’idea del grandissimo squilibrio tra donne votanti e donne elette, vi propongo un esempio emblematico: l’Italia del 1946.

Nel detto anno, le donne chiamate al voto superarono 89% (*3), le donne elette furono il 7% alla Camera e l’1,4% al Senato. (*4) Ciò dimostra che la maggiore o minore affluenza alle urne non determina di conseguenza la maggiore e minore rappresentanza in Parlamento.

Qualcuno potrebbe obiettare che erano tempi diversi, che la condizione attuale delle donne sia migliore e la rappresentanza femminile in parlamento oggi sia maggiore. Ciò è vero, rispetto agli albori della nostra Repubblica la situazione è esponenzialmente migliorata, ma tale margine di miglioramento non è sufficiente.


Alle ultime elezioni politiche, il 25 settembre 2022, si è recato alle urne solo il 62,19% di donne e ne sono state elette il 31%.

Gli uomini che si sono recati a votare lo stesso giorno sono il 65,74% e ne sono stati eletti il 69%. (*5)

Dal confronto dei dati si evince un risultato lampante: gli uomini sono sovrarappresentati e le donne sono sottorappresentate, la parità di genere in politica non è ancora stata raggiunta.


Istruzione: le donne sono più istruite degli uomini

È uno studio dell’Istat a confermare che le donne sono più istruite e meno occupate degli uomini.

In Italia il 65,3% delle donne ha almeno un diploma, contro il 60,1% degli uomini; le laureate arrivano al 23,1% mentre gli uomini laureati sono il 16,8%. Come affermato dall’Istat, però, il vantaggio femminile nell’istruzione non si traduce in un vantaggio in ambito lavorativo. Il tasso di occupazione femminile, infatti, è del 55,7% contro il 75,8% di quello maschile. (*6)

Il problema, però, non si limita all’occupazione, ma riguarda anche la retribuzione.

Nonostante l’articolo 37 della Costituzione sancisce: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore […]” la condizione delle donne lavoratrici non è eguale a quella dei propri colleghi uomini.

A cinque anni dalla laurea, gli uomini percepiscono, in media, circa il 20% in più. In particolare, tra i laureati di primo livello, le donne percepiscono 1.374 euro e gli uomini 1.651 euro; tra quelli di secondo livello rispettivamente 1.438 euro e 1.713 euro. (*7)

Tale disparità salariale si traduce in una disarmante verità: guadagnando meno, le donne è come se lavorassero gratis due mesi all’anno. (*8)


Lavoro: Nonostante tali differenze, però, gli uomini sono maggiormente valorizzati sul mercato del lavoro e ciò per varie motivazioni.

In primo luogo, alle donne viene molto più spesso relegato il compito di prestare del lavoro non retribuito come la cura deз figlз, della casa e degli/delle anzianз che non permette una scalata agevole nel mondo del lavoro;

Le donne accettano lavori part time molto più spesso rispetto agli uomini e frequentemente questa non è una scelta, ma è una diretta conseguenza della vita a cui sono costrette. In Italia il 19,5% delle donne occupate lavora con un part-time non volontario, a differenza degli uomini che sono il 6,5%. (*9)


Vivere di solo part time porta ad una innegabile problematica: per le donne saranno maggiori le prospettive di povertà dopo l’età lavorativa come diretta conseguenza del gap contributivo oltre che quello retributivo. In media, infatti, le donne hanno una pensione del 25% inferiore a quella degli uomini. (*10)


Una disparità di trattamento è anche dovuta ad una mancanza di un adeguato congedo parentale. In Italia il congedo di paternità è di soli 10 giorni contro i 5 mesi concessi alla madre e ciò comporta che non sia raro che i datori di lavoro, a parità di curriculum e di età, siano più incentivati ad assumere un uomo rispetto a una donna. Una soluzione per disincentivare questa pratica discriminatoria potrebbe essere realizzare un congedo parentale di almeno tre mesi per entrambi i genitori.

Tutte queste analisi conducono a una evidente constatazione: la parità tra donne e uomini non è stata ancora raggiunta.


Quanto tempo ci vorrà per raggiungere la parità?

132 anni. (*11)

È il Global Gender Gap 2022 del World Economic Forum ad affermare che ci vorranno ancora 132 anni per colmare il gap di genere a livello globale. (*12)

La questione, però, non è di certo così semplice considerando che bisogna anche tenere in considerazione tutti i rallentamenti e gli ostacoli che si presenteranno nel corso del tempo. L’evoluzione non è un processo lineare, ma è caratterizzato da grandi accelerate e brusche frenate in relazione ai cambiamenti della società. Il Covid-19, ad esempio, non ha di certo permesso un incremento della parità considerando che le persone maggiormente colpite sono state donne e non è un caso. (*13)


La quarantena dovuta dal contagio da coronavirus, infatti, ha avuto un impatto maggiore su tutti quegli impieghi che non possono essere svolti attraverso lo smart working, come ad esempio il lavoro domestico, settore in cui lavorano per la maggioranza donne. (*14)

Sulla base di queste analisi di questi tre elementi perveniamo alla conclusione che la parità non è stata ancora raggiunta, ma non solo. È importante affermare che la disuguaglianza disincentiva le donne, ma anche e soprattutto la società intera. Da un punto di vista economico, infatti, sono vari gli studi che dimostrano che se esistesse la parità tra uomini e donne vi sarebbe di conseguenza un aumento del Pil mondiale. (*15)

La parità, insomma, conviene a tuttз.












Bibliografia

-Italia in fotografia – scheda “popolazione e famiglie, Istat

-Dov’è finito il voto delle donne di Donata Columbro e Barbara Leda Kenny, L’Essenziale

-Breve storia delle donne nel parlamento italiano, openpolis

-Meno donne in parlamento: il 31%, il primo calo in 20 anni di Cecilia Ferrara e Angela Gennaro, Agenzia ANSA

-Nel Mezzogiorno occupazione più bassa anche tra i laureati, soprattutto se hanno meno di 35 anni, Istat

-Università: le donne sono il 60% dei laureati, ma guadagnano il 20% in meno degli uomini. Le donne costituiscono quasi il 60% dei laureati in Italia e registrano performance migliori sia in termini di studi che di votazione finale. Eppure, gli uomini sono più valorizzati sul mercato del lavoro, Rai News

-In Ue le donne lavorano gratis due mesi all’anno. Colpa del divario retributivo, di Sonia Montrella, Agi

-Il Covid ha ucciso il part time. E per le donne può essere una buona notizia. La nuova flessibilità del lavoro agile, forzatamente sperimentato in pandemia, dà una risposta nuova alla conciliazione famiglia-lavoro. Di Chiara di Cristofaro, Il Sole 24 Ore

-132 anni per raggiungere la parità, Ingenere

-Global Gender Gap Report 2022, World Economic Forum

-Crescita, la parità uomo-donna farebbe aumentare il Pil del 26%, Lavorosì

-Aziende in crisi e Covid: i settori più colpiti, EDU INTERNATIONAL FOUNDATION C.I.C.

-L’impatto della pandemia COVID-19 sulle donne (infografica), Europa.eu



Sitografia









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