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  • Writer's pictureKoinè Journal

✒️ Speciale #Afghanistan: 1979-1996

Per capire le vicende attuali che tormentano l’Afghanistan è necessario riavvolgere il nastro del tempo e riportare le lancette della storia di qualche decennio indietro.

Copyright: Lorenzo Tugnoli / The Washington Post

1979-1996: Dall’invasione sovietica all’arrivo dei Taliban 1. L’Afghanistan nella Guerra fredda e la rivoluzione Saur Durante gli anni ‘70 del novecento il paese dell’Asia centrale era retto da un governo che cercava di emanciparsi da quelle che erano le regole del bipolarismo della “Guerra fredda, non schierandosi apertamente né dalla parte degli Americani, né dalla parte sovietica, e cercava di sviluppare la propria fragile economia in maniera autonoma. La monarchia era stata appena rovesciata da un uomo ambizioso, Mohammed Daoud-Khan, che si era imposto come principale leader politico del paese. Voleva modernizzare l’Afghanistan, dargli leggi secolari e garantirne l’inserimento nel mercato capitalista globale, accostandosi decisamente agli Stati Uniti, rompendo quindi il neutralismo politico che fino ad ora aveva caratterizzato il paese durante la Guerra fredda. Tuttavia l’America era distante e non interessata a collaborare,mentre l’Armata rossa sovietica si trovava a poche decine di km dal confine settentrionale dell’Afghanistan; inoltre nel paese era da poco nato un partito marxista filo-sovietico, che faceva sentire la propria voce nelle vicende politiche afghane. Il Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan ( PDPA) era in realtà diviso in due correnti antagoniste: la fazione Khalq( le masse) fortemente filo-sovietica, massimalista e di estrazione rurale, e quella Parcham ( la bandiera), favorevole ad un compromesso col governo Daud e di estrazione cittadino-borghese. Per evitare che Kabul si alleasse con gli americani, il Cremlino orchestrò un colpo di stato nella capitale afghana per esautorare il governo di Daud e garantire i pieni poteri al PDPA. Passato allo storia come “Rivoluzione Saur”( dal nome del mese di aprile secondo il calendario afghano), questo golpe fece precipitare l’Afghanistan nell’orbita sovietica, ma le due fazioni del partito non erano pronte a condividere lo stesso potere.


2. L’invasione sovietica e i mujaheddin Subito dopo la formazione del nuovo governo e la creazione della Repubblica Democratica dell’Afghanistan filo-sovietica, la nuova leadership comunista di Kabul mostrò la sua incompetenza e le proprie divisioni interne, fattori che impedirono al paese di svilupparsi adeguatamente nonostante l’Afghanistan fosse, all’epoca, uno dei principali destinatari nel terzo mondo degli aiuti economici e militari di Mosca. La leadership di stampo stalinista della fazione Khalq estromise i moderati del Parcham, facendo imprigionare o uccidendo i suoi leader. Al vertice del governo vi erano due figure autoritarie, l’anziano Mohammed Taraki e il suo vice Hafizullah Amin, che presto entrarono in conflitto. Nei primi mesi del ‘79 Amin, con l’appoggio del KHAD, la potente polizia del regime, si sbarazzò del collega e dei suoi collaboratori, ma al Cremlino questa notizia non fu accolta con entusiasmo. Nel paese infatti serpeggiava un forte malcontento, perché i leader del PDPA sembravano più interessati a fare purghe dei propri nemici interni che a garantire un reale sviluppo economico e culturale ad uno dei paesi più poveri del mondo. A farsi carico del malcontento popolare furono vari gruppi politici, forti soprattutto nelle campagne, di orientamento islamista. Questi gruppi ripugnavano il decadimento culturale e religioso in cui era caduto l’Afghanistan, e mal tolleravano l’influenza sovietica e il comunismo. Dopo la rivoluzione iraniana del febbraio 1979, questi gruppi trassero nuova forza e ispirazione, e si organizzarono militarmente a livello tribale, tendendo imboscate ai soldati afghani e al personale sovietico nel paese. Nell’aprile 1979 la città di Herat venne di fatto conquistata temporaneamente dai guerriglieri islamici, i mujhaeddin. Era il primo campanello d’allarme. Al Cremlino si aveva la percezione che le cose stessero precipitando a Kabul: il governo locale ero avvolto da una spirale di violenza interna di cui non si prospettava una fine, la resistenza islamica era sempre più potente e conquistava città dopo città, ed infine si temeva che la guerra santa, il jihad islamico, penetrasse entro i confini meridionali della stessa URSS, in cui vivevano milioni di musulmani potenzialmente ribelli. Queste sono le cause che portarono la leadership sovietica a prendere una decisione che si rivelerà fatale: il 25 dicembre del ‘79 l’Armata Rossa entrava a Kabul e si sbarazzava di Amin e della sua cerchia, ponendo alla presidenza Babrak Karmal, leader del Parcham e fedele alleato dei sovietici. Iniziava la guerra in Afghanistan.

3. Il network dei freedom fighters Nonostante la superiorità militare e logistica, l’Armata Rossa non fu mai in grado di sconfiggere apertamente le milizie islamiste, perché nel frattempo esse si erano fatte amici potenti. In America si capì subito che si trattava di una ghiotta occasione per infliggere una batosta decisiva al comunismo: Ronald Reagan mise da parte ogni pregiudizio ideologico e politico e invitò i leader dei mujhaeddin alla Casa Bianca, promettendo loro imponenti finanziamenti sottobanco. Il presidente si impegnò inoltre, con l’aiuto di Pakistan e Arabia Saudita, a creare un vero e proprio network di combattenti islamici che partivano da ogni angolo del Medio Oriente alla volta di Kandahar, per poi passare il confine afghano e unirsi alla resistenza anticomunista. I “ freedom fighters “, così erano chiamati in Occidente, portarono le truppe sovietiche al logoramento. I negoziati di Ginevra del 1988 segnarono la fine della decennale occupazione comunista dell’Afghanistan. Nel febbraio 1989 l’Armata rossa abbandonò definitivamente il paese: 10 anni di guerra che avevano solo portato morti e crisi economica, e che contribuirono poi alla morte dello stato sovietico. Il governo del PDPA era ancora in piedi, ma governava solo Kabul, mentre il resto del paese era controllato dai gruppi islamisti in aperto contrasto fra loro. Di lì a poco sarebbe scoppiata una guerra civile fra questi gruppi.

4. La guerra civile Fra i vari gruppi islamisti che controllavano i territori interni del paese ve ne era uno in particolare che era assai popolare e militarmente efficace: la Jamiat Islami di Burhanuddin Rabbani. Estremamente popolare fra la popolazione tagika del nord, era politicamente allineata all’altra grande formazione islamista radicale, la Hebz-i Islami di Gulbuddin Hekmatyar. Questi ultimi erano molto popolari fra l’altro gente di etnia Pashtun, il gruppo etnico più popoloso del paese. Dopo la caduta dell’URSS nel 1991, i gruppi islamisti si riunirono per un breve periodo per dare vita ad un nuovo stato, lo Stato Islamico dell’ Afghanistan, il cui primo presidente eletto fu proprio Rabbani. Incapace di condividere il potere con altre formazioni politiche e coi pashtun, la pace durò appena qualche mese, e nel 1992 si riaprirono le ostilità fra i vari gruppi. L’Afghanistan era diventato ormai bottinò di guerra fra una miriade di signori della guerra.

5. I “Taliban”:anatomia di un movimento

Fra i giovani afghani serpeggiava frustrazione e delusione sin dalla fine degli anni ‘70. Molti si erano uniti ai gruppi dei mujhaeddin, ma ben presto me rimasero delusi. La fratellanza musulmana era durata giusto il tempo di sconfiggere l’invasore sovietico, ma dopo la loro ritirata i gruppi islamici iniziarono a farsi guerra fra loro per motivi spesso etnici e tribali. Delusi da questa esperienza, molti giovani entrarono a far parte di un nuovo gruppo fondamentalista, che prometteva pace e un ritorno alla grandezza e alla purezza dell’Islam primordiale, quello tramandato direttamente dagli insegnamenti dal Profeta, libero da interferenze occidentali e straniere. Si facevano chiamare “ Talebani “, come gli studenti delle madrase che studiavano i fondamenti del Corano e della Sunna. Erano di etnia pashtun , ed erano fermamente convinti che dovesse essere la loro etnia a governare l’Afghanistan, per questo non erano pronti a scendere a compromessi con altre formazioni islamiste politiche. Finanziati massicciamente dal Pakistan e dai Sauditi, in breve tempo i Talebani divennero la principale forza islamica del paese, sbaragliando le altre formazioni di mujhaeddin nel giro di 18 mesi. La loro violenza e ferocia divenne manifesta quando nel settembre del 1996 entrarono a Kabul. Dopo aver assaltato il palazzo presidenziale, catturarono l’ultimo presidente della Repubblica Democratica Afghana , Mohammad Najibullah. Il suo corpo venne agganciato ad una jeep tramite un uncino da macelleria e trascinato per le strade polverose di Kabul. Nel frattempo il leader dei Taliban, il Mullah Omar, annunciava ufficialmente la nascita dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan. Iniziava una nuova era, ma le sofferenze per il popolo afghano non era affatto finite. La violenza del regime talebano insanguinerà il paese fino al 2001.

di Lorenzo Ruffi

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