
di Denise Capriotti.
Un’inchiesta del programma tedesco STRG_F ha recentemente scoperto una chat Telegram in cui 70mila uomini si scambiavano consigli su come drogare, sedare e stuprare le donne.
E no, non sono “mostri”, sono tutti uomini "normali", con madri, sorelle, mogli, figlie. Sono attorno a noi e forse sono anche dentro casa nostra.
Sui social, una frase sta rimbalzando con forza: “Not all Men, But Too Many Men”. Un messaggio potente che si aggiunge al consueto e pericoloso ritornello del “non tutti gli uomini”, pronunciato da chi, a ogni notizia di violenza contro le donne, cerca di minimizzare o negare che l’accaduto sia un fenomeno sistemico. Ora, però, quel "ma troppi uomini" ha un numero: sono 70mila e provengono da ogni nazione.
Uomini che si scambiavano, senza alcuna remora, consigli su come aggredire sessualmente le donne. Nella chat non si limitavano solo a parlarne, ma pianificavano tutto nei dettagli, proponendo e scambiandosi strategie, con tanto di istruzioni su come sedare e abusare una donna.
Le domande più frequenti riguardavano i dosaggi e i tempi necessari per somministrare farmaci che riducono le vittime in uno stato di incoscienza. Sono stati condivisi anche i siti web dove acquistare sedativi potentissimi, spesso presentati sotto falsa dicitura, per evitare di essere scoperti.
Cita un messaggio: "Quale sostanza per far dormire questa principessa e stuprarla?" con tanto di foto. Un altro: "Mia sorella finalmente è completamente priva di sensi". A seguire: “Non è stupro se non sa che è successo”, “A volte fantastico sul drogarla e portare uomini a casa che abusino di lei”, "Adesso è ubriaca da morire e le do dei sonniferi. Spero che presto mi divertirò un po'".
Questi gruppi non nascono dal nulla. Sono il risultato di una cultura che giustifica e rende invisibile la violenza contro le donne, che consente e normalizza atteggiamenti sconcertanti. Non si tratta di una decadenza morale, ma del riflesso di una struttura sociale che educa gli uomini a percepire le donne come oggetti e non come persone.
Molti si chiedono come abbia fatto Dominique Pelicot a trovare oltre 50 uomini che stuprassero sua moglie Gisele mentre dormiva, ma su Telegram sono oltre 70mila.
All’interno di questa chat non vi era solo uno scambio di consigli ma anche la diffusione non consensuale di immagini e filmati intimi, una forma di violenza definita "revenge porn", che rappresenta uno dei punti apicali della cosiddetta Cultura dello stupro.
La “Cultura dello stupro” è un’espressione utilizzata dagli studi di genere e dai femminismi per descrivere una “cultura” nella quale non solo la violenza e gli abusi di genere sono molto diffusi, minimizzati e normalizzati, ma dove sono normalizzati e incoraggiati anche gli atteggiamenti e le pratiche che giustificano e sostengono quella violenza e che pretendono di avere il controllo sulla sessualità femminile.
L’origine dell’espressione “rape culture" è legata agli studi di genere e ai movimenti femministi degli anni Settanta. Una delle prime figure a trattare il concetto fu la scrittrice e giornalista Susan Brownmiller, che nel suo libro “Against Our Will: Men, Women, and Rape” (1975) introdusse l'idea di una "cultura solidale con lo stupro". Secondo Brownmiller, lo stupro non era solo un atto sessuale, ma un vero e proprio strumento di intimidazione, volto a mantenere le donne in uno stato di paura costante.
La sua analisi portò a una riflessione fondamentale: lo stupro non è un atto commesso da uomini che agiscono spinti da un desiderio sessuale irrefrenabile, ma piuttosto un mezzo per esercitare e consolidare il potere e il controllo sul corpo femminile.
Per Brownmiller, lo stupro rappresenta l'espressione più estrema di una dinamica di potere tra i sessi, radicata in una società patriarcale e misogina. La violenza sessuale non si limita alla vittima diretta, ma è l'indicatore di un sistema sociale che favorisce il dominio maschile e la sottomissione femminile.
Ciò che rende ancora più inquietante l’episodio di violenza sul web è l’indifferenza che sembra avvolgere la nostra società. La nostra reazione, troppo spesso, si limita a un’immediata indignazione di fronte alla singola notizia, ma a mancare è una riflessione più profonda e collettiva sulle radici di questi fenomeni.
La violenza contro le donne e la cultura che legittima lo stupro non sono questioni che riguardano soltanto i colpevoli diretti di tali atti; si tratta di un problema che tocca ognuno di noi. Chi sceglie di dimenticare, chi non sviluppa una visione globale della questione e non si impegna concretamente per cambiare le cose, finisce per essere complice, in modo più o meno consapevole, di un sistema che continua a perpetuare disuguaglianza, discriminazione e sopraffazione.
Come scrisse la giornalista britannica Laurie Penny: «Non è necessario aver subìto uno stupro per subire le conseguenze della cultura dello stupro. Non è necessario essere uno stupratore seriale per perpetuare la cultura dello stupro. Non è necessario essere un convinto misogino per beneficiare della cultura dello stupro».
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