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  • Writer's pictureKoinè Journal

Tutte le marachelle di Silvio


di Valentina Ricci.


Il nuovo Parlamento è a lavoro da circa una settimana, Berlusconi è tornato in Senato e ha già iniziato con i giochi di ruolo. Sì, perché si può dire che in questi giorni abbia fatto più opposizione a Giorgia Meloni rispetto a Letta, Conte, Renzi e Calenda insieme.

Tutto è iniziato giovedì 13 ottobre, con la prima seduta al Senato e l’elezione di La Russa alla presidenza, elezione per cui FI non ha dato il proprio sostegno (se non per due voti). Nella stessa giornata poi, il Cavaliere, probabilmente conscio di quello che stava facendo, ha esposto a favore di macchine fotografiche un foglio con elencati in punti tutti i difetti di Meloni: supponente, prepotente, arrogante, offensiva e ridicola (poi cancellato). La lite scoppia soltanto il giorno seguente con Meloni che dice di non essere ricattabile. Un siparietto probabilmente dovuto al veto di Meloni sul nome di Licia Ronzulli (badante ormai del Cavaliere, ma odiata dalla corrente di Tajani) che testimonia quanto il centrodestra sia solidamente unito.


Al di là di tutti questi botta e risposta, più o meno divertenti da seguire e usati da Berlusconi per ottenere qualche ministero in più, le liti sembravano essersi sopite con la riappacificazione di via della Scrofa. Si tratta di un gesto quanto mai simbolico da parte del Cavaliere quello di recarsi di persona presso la sede di FdI per appianare le divergenze con Meloni e trovare un accordo di governo: è la ratifica di un (già avvenuto nei fatti) passaggio di leadership, forse della fine di un’era che non ci ricorderemo con piacere.

Tuttavia, il momento di serenità tra i nostri Sandra e Raimondo è durato sì e no mezza giornata, prima dello scatenarsi della vera tempesta: nelle serate di martedì 18 e mercoledì 19 (ottobre) LaPresse pubblica due audio registrati da un membro di FI durante la riunione per nominare i capigruppo, in cui Berlusconi afferma di aver riallacciato i rapporti di amicizia con Putin (con tanto di scambio di bottiglie di Vodka e Lambrusco in contravvenzione alle sanzioni alla Russia), e sostiene una versione dell’inizio della guerra in Ucraina del tutto affine con la propaganda russa. Queste affermazioni clamorose mettono Meloni in pessima luce davanti all’opinione politica internazionale (dopo tutta la fatica fatta per accreditarsi come “Draghetta” affidabile) e la spingono a prendere una posizione ufficiale molto dura: la sua condizione per la creazione del governo è una sola, di mantenere fede all’alleanza con Europa e Nato. Altrimenti niente governo.


Davanti a questo ennesimo e pericoloso polverone, a Silvio non resta che mettersi la coda tra le gambe e ritornare sui propri passi: la mattina di giovedì (20 ottobre) sul Corriere della Sera compare un’intervista in cui, con risposte quasi meccaniche, il Cavaliere ribadisce l’appoggio all’Ucraina e la condanna dell’attacco russo. Giusto in tempo per confermare la sua presenza al fianco di Salvini e Meloni alle consultazioni con Mattarella, ma forse troppo tardi per salvare il concordato posto di Tajani al Ministero degli Esteri. Nonostante ciò, le crepe che minacciano la tenuta del futuro governo sono ormai visibili: l’alleanza è alquanto fragile, Meloni è costantemente minacciata dall’interno da due colleghi pronti a qualsiasi tipo di ricatto pur di ottenere ciò che vogliono, e i due rispettabili colleghi a loro volta sono minacciati da compagni di partito che tramano contro di loro.


Per Meloni è emerso anche un aspetto positivo: se i suoi alleati tengono sempre un pugnale nascosto dietro alla schiena, i partiti di opposizione si sono dimostrati pronti (forse hanno preso alla lettera la campagna elettorale di FdI) a darle man forte. Nel giorno dell’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato i circa 17 voti mancanti per l’assenza dei senatori di FI sono stati sostituiti dalla mano pronta di alcuni “franchi tiratori” tra le fila del terzo polo, del Pd o del Movimento. Esclusi Renzi e Calenda che non hanno mai fatto segreto di voler collaborare con Meloni (e che avrebbero potuto dare al massimo 9 voti), i due paladini della sinistra Letta e Conte hanno curato il loro mal di pancia da post-fascismo con un paio di posti da vicesegretari. È vero che il gioco politico vuole il compromesso, ma concedere la seconda carica dello Stato a uno dei più grandi nostalgici del fascismo del nostro panorama politico, più che uno scambio sembra un affare alla Dorian Grey. Ma parliamo pur sempre di Letta e Conte, i Franco e Ciccio della politica nostrana.


Finiti (si spera) questi turbolenti giorni, se tutto andrà liscio e ognuno ritornerà nel proprio ruolo, l’Italia dovrebbe avere un Governo entro la prossima settimana. Con l’augurio che l’insediamento più veloce della storia del Paese non diventi anche quello del Governo più breve. Ascoltaci O Signore.





Image Copyright: Gazzetta del Sud

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