
di Alessia Di Lorenzo.
Recenti manifestazioni di piazza hanno visto una partecipazione senza precedenti. Il caso che più di tutti è apparso eclatante è Black Lives Matter, movimento attivista internazionale impegnato nella lotta contro il razzismo a livello socio-politico ed istituzionale in America. Dal 2013 diverse persone sono scese in piazza per rivendicare i diritti delle persone nere, specialmente dopo la morte di numerosi afroamericani uccisi durante la custodia in carcere o in seguito ad azioni di polizia.
Nel 2020, dopo l’omicidio di George Floyd in Minnesota, le proteste di Black Lives Matter hanno dato vita alle più grandi manifestazioni di piazza nella storia americana. (Jager 2024: 13) In poche parole “circa un decimo della popolazione americana è sceso in piazza, con avvocati d’affari e adolescenti disoccupati che hanno partecipato a scontri di strada fino alle prime ore del mattino” (Jager 2024: 31). Questa grande partecipazione non rimane un caso isolato nello scenario politico internazionale. Il referendum sulla Brexit, ad esempio, è stato il più grande voto democratico nella storia della Gran Bretagna, mentre pochi anni fa proteste anti-lockdown hanno assaltato le istituzioni statali, dal Canada alla Germania.
La caratteristica delle proteste e delle manifestazioni dei nostri giorni però è l’incapacità di permanere nel tempo. In termini di partecipazione, infatti, questi nuovi movimenti potrebbero sembrare impressionanti e molti di questi hanno in effetti prodotto cambiamenti senza precedenti nell’opinione pubblica internazionale. D’altro canto, lo stato d’animo della politica contemporanea è contrassegnato da un’eccitazione incessante ma dispersa. (Jager 2024: 43) A livello mentale, questa situazione potrebbe essere dovuta alla crisi di capacità di attenzione caratteristica dell’epoca di internet e dello smartphone.
Da un lato, infatti, nel discorso politico contemporaneo un ruolo decisivo è investito dai social. Instagram, X, Tiktok e Youtube sono permeati di contenuti politici, dalle tematiche relative al consumo, al veganesimo o alle preoccupazioni relative al cambiamento climatico. La nostra società appare sempre più polarizzata mentre emerge chiaramente una nuova sensibilità politica.
Anton Jager ha chiamato questa nuova fase “iperpolitica”, e la definisce come “qualcosa che viene e va, una bomba al neutrone che uccide le persone che colpisce lasciando intatte le infrastrutture” (Jager 2024: 45). Questo fenomeno è contrassegnato da continui litigi online, dal moralismo dilagante e dall’incapacità di immaginare dimensioni di lotta collettiva. Rispetto agli anni della fine delle grandi narrazioni, la politica è rientrata a far parte del discorso quotidiano. Cosa sta succedendo?
L'eredità della post-politica
Cercare di definire i nostri giorni non è mai un lavoro semplice ed è sempre rischioso. Come sostiene Jager “la storia contemporanea rischia di cadere vittima della fluidità e dell’indeterminatezza della situazione che cerca di immortalare, incastrata tra il dettaglio impressionistico e la grande astrazione” (Jager 2024: 17). Nello stesso momento però il presente ci offre una chiara situazione di cesura rispetto al passato, in cui la politica ritorna ad essere al centro dell’attenzione comune.
In questo momento storico manca però un vocabolario che ci possa consentire di definire la realtà magmatica dei nostri giorni. Dunque, nonostante il termine “iperpolitica” possa sembrare azzardato, ci permette di fare chiarezza sul nostro presente e sulle forme politiche posteriori al Novecento. Jager precisa che questo concetto indica una tendenza piuttosto che uno stile politico ben preciso, di cui è necessario parlare perché in questo momento è uno dei poli gravitazionali principali tra le forme in campo nella politica del XXI secolo. (Jager 2024: 18) La storia di questa nuova fase comincia negli ultimi anni Ottanta, con la fine delle grandi ideologie e l’ondata neoliberista.
Con la caduta del muro di Berlino cominciavano a vacillare le speranze di un’alternativa al modello economico promosso dall’Occidente. Ad est il socialismo reale era vicinissimo al collasso, mentre trionfava il capitalismo globale. (Jager 2024: 10) Alcuni intellettuali, come Francis Fukuyama, scrivono saggi sulla presunta “fine della Storia”, mentre la macchina fotografica di Tillmans diventa testimone di un esercizio di amnesia collettiva nella sua serie Love, in cui vengono fotografati giovani che ballano per scordarsi dell’industria, della politica e della storia stessa. Si respirava una volontà diffusa di dimenticarsi degli spettri ideologici del Novecento per abbracciare un’utopia privata. È il momento dell’era post-politica, in cui il pubblico ed il privato diventano sempre più due bolle non comunicanti e la politica entra in un profondo declino. Mancando una controparte ideologica, l’idea che il mondo fosse unificato sotto un unico blocco – quello capitalista – era una percezione diffusa e generale. Il mercato capitalista globale aveva vinto.
Nel frattempo, le battaglie influenti nell’opinione pubblica degli anni Novanta, come quelle per i diritti umani, l’anti-razzismo, la dissidenza erano considerate da Baudrillard ideologie morbide, post coitum historicum. In altre parole, erano “ideologie da dopo-orgia per una generazione leggera che non ha conosciuto né ideologie né filosofie radicali”. (Jager 2024: 14) Era, in sostanza, una generazione dai valori soft.
Un’immagine chiara di ciò che sono stati retrospettivamente gli anni Novanta ci viene offerta da Annie Ernaux, nel suo romanzo Gli anni (2008). L’era post-politica diventa l’era della fine della storia, in cui viene promosso un nuovo ordine politico globale. Se la democrazia si sarebbe diffusa in tutto il pianeta, nello stesso tempo la parola lotta era unanimemente screditata, quasi puzzasse di un marxismo ormai ridicolo. Il mondo rappresentato dalla scrittrice è inoltre segnato da una separazione netta tra il pubblico ed il privato. I cittadini vivono nell’isolamento e nella privacy. La politica passa in secondo piano e le istituzioni sono occupate da tecnocrati. Cominciano, in questa fase, processi di individualizzazione e di declino delle istituzioni collettive che non si sono più arrestati.
Infatti, alla totalizzazione del privato corrispondeva anche un’attenta marginalizzazione del pubblico. In altre parole, dagli anni Novanta si assiste ad un continuo declino della partecipazione alle organizzazioni ed associazioni di massa, come i sindacati e le sedi di partito. Inoltre, la gente non sentiva la necessità di definirsi politicamente, e l’astensionismo elettorale era diventato dilagante.
Dagli anni Dieci del 2000, però, qualcosa cambia considerevolmente. Lo stesso anno in cui Trump viene eletto presidente, la Gran Bretagna esce dall’Ue. Quattro anni dopo, invece, le piazze dell’America si riempiono di cittadini che rivendicano i diritti delle persone nere sotto lo slogan Black Lives Matter. Tutto ciò, coronato da una grande polarizzazione politica all’interno dei social, che diventano delle vere e proprie piazze in cui la gente non lotta per degli scopi comuni, ma in cui vige un persistente individualismo che consente al singolo di poter commentare notizie di attualità e di cronaca in assenza di un fine edificante. Il mondo appare sicuramente già diverso: i paesaggi aperti nel 1989 stanno subendo una frammentazione, e in tutto il continente vengono alzati muri. (Jager 2024: 14). Siamo entrati nella nuova era dell’iperpolitica.
Definizione di una nuova era: l'Iperpolitica
I nostri giorni, secondo Baudrillard, ci presentano la fotografia di un mondo propenso verso l’emotività, un desiderio che è stato definito reincantamento del quotidiano. (Jager 2024: 15) In questa trasformazione, la Grande Recessione del 2008 ha avuto un ruolo decisivo. In sostanza, una nuova forma di politica è ritornata, nonostante non ci sia stata una rinascita della politica di massa. Questi anni sono caratterizzati dalla fase antipolitica a cui corrisponde il decennio populista. È però verso il 2015-2016 che è emersa una nuova forma, quella iperpolitica. Stando alle parole di Jager, “concepita al culmine del periodo populista, l’iperpolitica è la modalità di impegno politica caratteristica del nostro mondo nel XXI secolo”. (Jager 2024: 19)
Una delle caratteristiche evidenti di questa nuova fase della politica del XXI secolo è l’interazione tra il pubblico ed il privato, che appare modellata sulla fluidità del mondo online. Gli anni Dieci, in sostanza, ci presentano una sfera pubblica ripoliticizzata e reincantata. Ciò significa che la sfera politica si è riproposta negli ambiti del privato, della cultura e perfino dell’economia. Oggi tutto è considerato politica. Questa caratteristica distingue ovviamente l’iperpolitica dalla post-politica degli anni Novanta, in cui il pubblico ed il privato erano percepiti come nettamente separati. Ciò che allontana la politica dei nostri giorni da quella del Novecento è però l’assenza di forme durature di politiche di massa. (Jager 2024: 21)
Nonostante, infatti, questo desiderio di reincantamento del quotidiano e di ripoliticizzazione della società, il modo di fare politica nei nostri giorni appare dispersivo, di scarsa qualità e di breve durata. Come sostiene Jager “A differenza della politica di massa alta di quell’epoca, infatti, l’iperpolitica è una forma costantemente bassa – a basso costo, con basse barriere d’ingresso, di breve durata e, troppo spesso, di basso valore” (Jager 2024: 20).
Una delle caratteristiche dell’iperpolitica è quella di essere intrinsecamente legata alla logica capitalista, assumendone i ritmi. Come i cicli brevi dei mercati finanziari e dei media, anche il modo di fare politica nella sfera pubblica, dunque, si agita e si contrae, senza mai cristallizzarsi in un’infrastruttura organizzata. Questa dispersione è la conseguenza di un fenomeno diffuso: la società è sempre più atomizzata ed accelerata. In sostanza, nel nuovo secolo le persone sono più sole ma anche più eccitate, nonostante siano molto più connesse rispetto al passato grazie ad Internet. Sono molto più arrabbiate ma anche molto più confuse.
Dunque, l’iperpolitica rimane prima di tutto una tipologia di politica orientata al mercato, sia nella forma che nel contenuto. Infatti, le logiche a breve temine dei mercati finanziari si riflettono nella nostra vita quotidiana. Oggi è diventato sempre più facile abbandonare una famiglia, una relazione, un gruppo di amici. Per questo, ogni aspetto della nostra vita sociale è soggetto a logiche a breve termine. Le amicizie, i matrimoni e l’impegno politico si svolgono in periodi di tempo sempre più brevi. (Jager 2024: 23)
Un recente studio in America ha indagato i diversi tipi di amicizie dei cittadini statunitensi. I ricercatori hanno riscontrato una vera e propria “recessione delle amicizie”; gli americani sono sempre più soli ed isolati. Molti di loro affermavano di aver perso i contatti con gli amici dopo la pandemia da Covid-19. In concomitanza, sono aumentate le malattie psicosomatiche come l’insonnia, problemi cardiaci, e l’aumento del rischio di Alzheimer (Jager 2024: 53). Questo studio mostra in miniatura un fenomeno che ha coinvolto tutto il mondo dalla seconda metà degli anni Ottanta, di cui l’epicentro indiscusso rimane l’Occidente.
Dunque, la nostra società si è ripoliticizzata ma non risocializzata. (Jager 2024: 64) Le cause dell’individualizzazione sono da riscontrare nell’imperativo dei capitalisti dell’epoca neoliberista, peculiarità che contrassegna anche l’età iperpolitica. Infatti, la vita collettiva è stata ridotta affinché il mercato potesse trovare nuove strade per l’accumulazione. Si comprende allora come le vittime per eccellenza del processo di atomizzazione della società siano dunque sindacati e partiti.
L'individualismo nei social
L’incapacità di organizzarsi in delle dimensioni di lotta concreta è dovuto anche ad una diffusa crisi di identità nelle società occidentali. Jager la chiama crisi generale di appartenenza e di collocazione sociale che è stata inaugurata dai nuovi media (Jager 2024: 64). Infatti, molte delle proteste che si sono verificate in questi anni – come i Gilet gialli ed altre manifestazioni di stampo populista – non si sono schierate politicamente, definendosi né di destra né di sinistra. Questa generale confusione incontra però un permanente bisogno di identità collettiva. Alcuni studiosi sostengono che un problema centrale sia l’assenza di un linguaggio politico che abbia una memoria storica ed una tradizione di partito. Prima della fine delle grandi narrazioni, infatti, esisteva un preciso linguaggio su cui si reggeva la politica del movimento operaio. Con la vittoria del capitalismo globale, il linguaggio degli ultimi è stato man mano espropriato in un lungo processo che ha subito un’intensa accelerazione negli ultimi quindici anni.
I social rimangono le piattaforme in cui si manifesta più di altri luoghi l’attivismo politico dei nostri giorni. È stato notato come anche gli attivisti si siano adeguati al linguaggio proposto dagli algoritmi, che crea visibilità e like. In particolare, è un linguaggio “che calca forzatamente le emozioni, i sentimenti, l’indignazione morale, la colpevolizzazione individuale e il vittimismo”. In più, lo scopo di questa comunicazione sembra quella di convincere ulteriormente chi già la pensa alla stessa maniera, piuttosto che coinvolgere chi non lo è già. È un linguaggio facilmente riassorbibile nella cultura individualista del nostro tempo.
Secondo Siti, l’attivismo sui social si adegua alle regole dei social media manager per vendere un prodotto. Se da una parte ognuno ripropone la propria esperienza individuale, dall’altra persiste una ricerca frenetica nel maggior numero di likes, dovendo stare ai tempi dettati dall’algoritmo. Il linguaggio vittimario è quello che viene più spesso utilizzato per raggiungere maggiori visualizzazioni, in assenza di un linguaggio politico comune. Secondo Siti, c’è una vera e propria centralità del ruolo della vittima nel dibattito sui social. Così, vittimismo e narcisismo si completano a vicenda sfociando facilmente nel discorso moralista dei nostri tempi.
Secondo questa logica, i social ci spingono ad esprimere sempre di più un giudizio sul comportamento del singolo che su un possibile problema strutturale e politico. Un efficace esempio è dato dalla situazione del primo lockdown da Covid-19, in cui ognuno sui social sentiva di dover denunciare l’azione del singolo che non prendeva a suo carico la cura collettiva, invece dirottare l’attenzione sulla necessità di lottare contro le politiche sulla pandemia.
Inoltre, secondo Francesca Coin, gli sfruttati vanno sempre più incontro a “fallimenti intersezionali”. In sostanza, la narrazione del moralismo individuale e vittimario concentra l’attenzione sull’esperienza del singolo più che sulla collettività. Ad esempio, l’anti-razzismo non contesta le logiche del patriarcato, mentre il femminismo non contesta sempre lo sfruttamento di classe. La logica capitalista genera una classe di sfruttati la cui condizione sociale si differenzia in base al genere, alla razza e alla classe. Esiste però una sola dicotomia ben precisa nella società, da una parte i capitalisti e dall’altra la classe di tutti gli sfruttati, che però non riconosce di essere tale.
Occorre quindi ricercare nuovi linguaggi che siano adatti non solo a descrivere la realtà di oggi, ma che permettano soprattutto di riconoscere il nemico comune. Ciò significa ricostruire un linguaggio di classe che possa essere universalmente comprensibile e che possa descrivere la dimensione collettiva che tanto si agogna. Giulio Calella sostiene a tal proposito che: “Per ritracciare le vere linee di frattura occorre sfuggire al linguaggio moralistico e individualizzante del tempo neoliberale, sperimentare nuovi modi per nominare i nemici comuni, nuovi discorsi per descrivere le intersezioni strutturali dello sfruttamento e dell’oppressione, nuove parole collettive in grado di reincantare il mondo."
L’urgenza di fare chiarezza sul nostro presente si incontra dunque con la necessità di pensare ad un nuovo vocabolario in grado di esprimere questa nuova realtà segnata da esigenze diverse rispetto al passato. Se quindi il termine “iperpolitica” potrà sembrare a molti azzardato ed impreciso, ci permette comunque di descrivere la nostra sfuggente e magmatica quotidianità e di riflettere sui suoi meccanismi.
Bibliografia
-Jager, A. (2024), Iperpolitica. Politicizzazione senza politica, Roma: Nero editions
Sitografia
Image Copyright: Corey Torpie Photography
Comments