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Writer's pictureKoinè Journal

Cosa ci hanno detto queste regionali?


di Luca Simone.


Analizzare un’elezione regionale è sempre complesso, in quanto non si tratta di un’elezione puramente politica, ma di un contenitore che al suo interno racchiude molta più amministrazione che altro. Partendo da questo presupposto, infatti, bisogna rivedere i toni eccessivamente trionfalistici con cui sono stati accolti dai giornali di area due risultati comunque solidi, convincenti e (soprattutto) necessari.


Non era un bel momento per il campo largo e, in particolare, per la segretaria Dem Schlein, che dopo la batosta in Liguria e gli attacchi di Conte, si trovava a giocare una partita particolarmente complessa per conquistare una regione strategica come l’Umbria. Dell’Emilia-Romagna non è neppure il caso di parlare, in quanto la vittoria in quella che è per antonomasia la “regione rossa” non è il caso di farla passare come un trionfo, come ha cercato di fare qualcuno. Vincere nel territorio più di sinistra del Paese, pare francamente il minimo sindacale che si potesse chiedere ad una segreteria. Per l’Umbria, però, il discorso era ben diverso.


La partita era infatti molto più aperta, e a sfidare la candidata governatrice uscente Donatella Tesei era Stefania Proietti, sindaca civica di Assisi che, però, non si può dire fosse un volto trainante. Il campo largo veniva dalla disfatta ligure in cui un volto noto come quello dell’ex ministro Andrea Orlando non era riuscito a conquistare una regione in cui poche settimane prima la giunta di cdx capeggiata da Toti era finita in manette. L’Umbria, dunque, era il vero banco di prova per Schlein e compagni/e, e il risultato è stato sicuramente superiore alle aspettative.


Queste regionali, però, lasciano aperti molti temi che riguardano in primis Lega e M5S, i due partiti usciti distrutti dall’ennesima tornata elettorale, e che ora si trovano ai margini della vita politica del Paese, dopo esserne stati alla guida appena cinque anni fa. Partendo dal Carroccio, i risultati raccolti sono ai limiti dell’incredibile, in quanto praticamente ovunque (se non in qualche piccolo sparuto fortilizio) è stato superato da Forza Italia, che addirittura in Emilia-Romagna va quasi ad eguagliare il PD in quanto a percentuali reali di preferenze raccolte. Salvini raccoglie la miseria del 5% in Emilia, e del 7,7% in Umbria. Un salasso che in termini elettorali si traduce con un lapidario -612mila voti nel primo caso, e -130mila nel secondo. Si tratta della dimostrazione che a destra i rapporti di forza stanno per cambiare, staremo a vedere con quali effetti.


Per quanto riguarda i 5S il discorso è quasi analogo, ma in qualche modo anche peggiore.

I grillini dimostrano ancora una volta un radicamento territoriale sostanzialmente inesistente, tanto da risultare ultimi tra tutti i partiti per percentuale reale di preferenze raccolte. Tradotto: non ci sono candidati credibili e conosciuti sul territorio che portino le persone a scrivere materialmente il nome sulla scheda. Una situazione di cui forse è il caso di parlare in casa Conte, dove ci si preoccupa solo di parlare di “principi non negoziabili” (sacrosanto, per carità), ma poi non si capisce questi principi a chi si rivolgano se poi gli elettori votano altro, o non votano.


L’unico reale vincitore di queste regionali, dunque, è il PD, che si accredita come forza realmente trainante della coalizione di CSX che, pur con i suoi problemi endemici, ha le capacità e la struttura necessarie per poter portare a casa importanti risultati elettorali.


Attenzione, però a parlare di trionfo, per due motivi. Il primo riguarda l’astensionismo, dato che meno di un italiano su due si è recato alle urne, facendo registrare quasi un nuovo minimo storico per le elezioni amministrative, tendenzialmente più interessanti per gli elettori perché avvertite come più vicine alla quotidianità rispetto alle politiche. Basti pensare che anche il PD, che è uscito vincitore, ha perso 108mila voti in Emilia, un dato che deve comunque essere considerato e analizzato.


Il secondo motivo è più prettamente politico. Le regionali non sono le parlamentari. Non lo sono perché abbracciano temi strettamente amministrativi, locali e molto poco ideologici. Pensare di prendersi il Paese vincendo le amministrative è pura utopia, per non dire altro. Le elezioni regionali non sono un termometro politico affidabile, sono uno dei tanti indicatori da valutare, non certo l’unico, motivo per cui, forse, parlare di “trionfo” è leggermente esagerato. I problemi sono ancora tutti lì, e lo dimostrano i sondaggi su scala nazionale, che vedono un PD che non cresce e rimane staccato di 7 punti da FDI.


Senza nulla togliere alla vittoria, importantissima sia chiaro, di ieri, era giusto fare un’analisi. Perché le analisi servono per crescere, se ci si adagia sugli allori si rischia grosso.

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